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Il Condottiero Parte II.

Ultimo Aggiornamento: 13/04/2005 13:50
12/04/2005 17:34
 
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Le parole vibrarono nell’aria giungendo fino alle orecchie del nemico. Malkor involontariamente rabbrividì riconoscendo il Giuramento, quante volte l’aveva pronunciato anche lui, a fianco di Skendar, da fratello a fratello, da pari, le stesse cicatrici, le stesse battaglie ed un solo ideale. Contro i barbari del Nord, contro i nobili ribelli di Skar, quante volte si erano salvati la vita a vicenda, ed ora qui, nemici e pronti a versare sangue innocente certi entrambi che l’ultimo atto della tragedia si sarebbe consumato e nemmeno gli dei avrebbero potuto impedirlo. Malkor maledisse il destino, gli uomini, gli Dei e tutti i dannati preti che lo obbligavano a combattere una guerra non sua, era consapevole delle scelte fatte e mai sarebbe tornato sulle proprie decisioni ma in cuor suo sapeva che Skendar aveva ragione, i preti dovevano fare i preti e non immischiarsi negli affari dell’Impero. Skendar pur essendo cresciuto come Malkor alla scuola della Chiesa Militare di Kalior non ne aveva mai pienamente condiviso gli ideali e una volta raggiunta la posizione di Condottiero dell’Impero aveva dimostrato un autonomia razionale e decisionale che la Chiesa non poteva tollerare. Più volte avevano tentato di eliminarlo arrivando addirittura a chiedere a Malkor di ucciderlo, possibilmente in battaglia promettendogli la carica di Skendar. Malkor aveva sempre rifiutato, non poteva uccidere suo fratello, e mai avrebbe potuto farlo alle sue spalle. No se proprio doveva uccidere Skendar l’avrebbe fatto guardandolo negli occhi con una spada in mano e dandogli comunque la possibilità di difendersi. Skendar sapeva tutto questo e avrebbe riservato a Malkor lo stesso onore perché la gente che lo aveva chiamato rinnegato nulla aveva a che spartire con Malkor. I generali strapparono Malkor alla contemplazione del campo di battaglia. Uomini capaci ma sostanzialmente troppo fedeli a quella Chiesa che non aveva più ragione di esistere. Sapevano della superiorità numerica e si credevano ormai sul punto di conseguire una vittoria che di riflesso li avrebbe portati ad occupare le più alte carche ecclesiali disponibili. Solo la morte di Skendar e dei suoi quattro generali avrebbe permesso loro di assurgere a quel potere che nemmeno la Chiesa era stata in grado di sottrarre a Skendar. Il titolo durava fino alla morte e niente e nessuno poteva privare un alto ufficiale del proprio rango. Solamente colui che avrebbe eliminato il traditore avrebbe potuto reclamarne la carica, nessuno dei suoi giovani generali sembrava rendersi conto che la superiorità numerica nulla avrebbe potuto contro un uomo che era ormai diventato leggenda e a cui, ogni suo uomo, dal più valoroso generale al più umile stalliere, era legato da una totale e incondizionata lealtà. Non si diventava semplicemente condottiero grazie ai meriti acquisiti sul campo di battaglia ma grazie e soprattutto all’abilità di saper legare i propri uomini al proprio destino e questo Malkor lo sapeva da anni. Sapeva che lui stesso non avrebbe mai potuto contare sulla stessa fedeltà che legava Skendar ai suoi uomini. “Le mie spade” ruggì Malkor e subito i generali si ritrassero lasciando passare l’attendente del loro signore, indossando a loro volta i colori di battaglia dei propri clan e attendendo l’ordine di schierare le truppe. Malkor ignorò il cappellano che si approssimava per la benedizione, guadagnandosi occhiate di fuoco da ognuno dei suoi ufficiali, sapeva che dopo Skendar lui stesso avrebbe atteso la più ignominiosa delle morti, avvelenato o pugnalato alle spalle per mano di uno qualsiasi dei suoi generali e quasi invidiava l’onore che almeno Skendar avrebbe ricevuto. Morire da soldato. Gli ordini furono subito impartiti, con parole secche e cenni del capo Malkor si dispose ad attendere, avrebbe voluto attaccare, aveva paura che la vista della folle carica nemica sbriciolasse il morale del proprio esercito. Riconobbe subito l’antico fratello alla testa delle truppe. Troppo silenzio. Non era da Skendar aspettare la carica del nemico. Malkor esitò qualcosa non quadrava, l’aria era satura di pensieri, paure, dubbi, incertezze, arroganza e fatalismo ma erano tutti a senso unico, tutti provenivano da un’unica direzione: i suoi uomini. Là in fondo alla pianura l’esercito di Skendar immobile non emanava alcun sentimento, nulla di nulla, quasi che il nemico fosse stato trasformato in pietra, nemmeno gli stessi animali emettevano un suono. Ordinò agli arcieri di prendere posizione a distanza utile di tiro subito seguiti dalla fanteria e dai lancieri che avrebbero dovuto sostenere la prima carica avversaria. Ancora il nemico non si mosse. Possibile che nessuno si accorgesse che qualcosa non andava? Cercò nello sguardo dei suoi generali un dubbio o una domanda ma riuscì a leggere solo impazienza, percepì i loro pensieri, si chiedevano perché indugiasse e arrivavano persino a dubitare del suo coraggio. L’ondata di rabbia che lo colse si allargò in cerchi concentrici e fu subito percepita da tutti. Alcuni chinarono il capo altri cercarono di chiudere la mente a quell’ondata di disprezzo. Nessuna reazione dal nemico eppure sapeva che Skendar avrebbe dovuto per forza di cose percepire quel disprezzo e il vecchio amico avrebbe mentalmente sorriso. Il silenzio istantaneamente si ruppe in migliaia di grida disumane, Skendar per primo aveva lanciato il cavallo in una corsa indiavolata, uomo e animale apparivano come l’incarnazione del Dio della guerra, molti anni più tardi i fortunati sopravvissuti alla battaglia avrebbero giurato che il cavallo nemmeno toccava il suolo, gli occhi rossi d’ira incontrollabile mentre le stesse fiamme avvolgevano entrambi lasciando una scia di aria surriscaldata che bloccava il respiro nei polmoni. Malkor stesso ordinò la carica violando qualsiasi tattica precedentemente preparata. Il sangue tornava a pulsargli nelle vene, l’odore del sangue già sembrava salirgli alle narici. Gli arcieri di entrambe le parti, appostati e in attesa della carica nemica, non scoccarono nemmeno una freccia, non ebbero nemmeno il tempo di farlo. Stupiti osservarono i due eserciti scontrarsi con un clangore metallico che per un istante rimase sospeso nell’aria quasi fosse il boato di un suono. I due eserciti si oltrepassarono e andarono ad occupare ognuno la posizione precedentemente occupata dal nemico. Migliaia di corpi occupavano il punto d’impatto della carica e la terra era rossa del sangue che sembrava sgorgare da innumerevoli ammassi di carne a cui mancavano arti o testa che giacevano a loro volta scomposte in innaturali posizioni. Il silenzio tornò padrone della spianata. Nemmeno un lamento ruppe la sottile brezza che sembrava muovere appena i finimenti degli animali. Skendar volse le spalle al nemico e vide i suoi generali ancora saldi in sella, osservò gli uomini e le loro ferite più o meno gravi, non udì nemmeno un lamento. Malkor fece la stessa cosa cercando di valutare i danni subiti e i danni inflitti, l’unica nota che gli parve positiva fu il fatto che nemmeno uno dei suoi quattro generali era riuscito a sopravvivere al primo scontro, sorridendo pensò che in ogni caso questo dimostrava il loro valore, stupidi ragazzini presuntosi. Lesse negli occhi dei suoi uomini il disprezzo per i loro comandanti e l’incertezza sull’esito di un altro scontro, molti erano già fuggiti, solo i veterani erano rimasti saldi al proprio posto ma in loro si leggeva solo rabbia e sconfitta.


Loshrike.... continua..
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Siamo realisti, esigiamo l'impossibile (Ernesto Che Guevara)
12/04/2005 20:32
 
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imbrattatele
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è tornato il grande losh dei racconti

ne cominciavamo a sentire la mancanza [SM=g27823]

hola condottiero
13/04/2005 13:50
 
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vice admin
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Eh eh..
Grazie dell'apprezzamento cagnolino, ogni volta che metto mano a questo racconto per chiuderlo definitivamente mi ritrovo a scrivere e scrivere ma non riesco a dargli una chiusura definitiva..

Losh[SM=g27822]
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Siamo realisti, esigiamo l'impossibile (Ernesto Che Guevara)
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