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MALASTRANA

Ultimo Aggiornamento: 01/08/2005 08:50
22/07/2005 13:56
 
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Gli ultimi attori si erano portati via alcune delle scenografie rimaste stese a terra, come immense pagine di un momento catartico già svanito, caricandole sul camion nel ciglio della strada di fianco al teatro.
Il leggero brusio della sala era più lontano, lentamente ogni spettatore si dileguava nelle ombre della notte.
Erano rimasti solo dei faretti rossi accesi, qualche fune a terra per il montacarichi del palco.
Ivonne prima che il foyer chiudesse aveva preso una birra e coca con becherovka, scricchiolando l’ultima caramella rimasta di menta e liquirizia precocemente tolta dalle tasche Alain. L'odore della cena, piccoli formaggi locali con verdure di stagione, ancora le borbottava nello stomaco.
Passò la birra nelle mani di Alain e mentre sorseggiava la coca cola, prese la fetta di limone iniziando a mordicchiarla: era un gesto a cui non sapeva rinunciare. E Alain sorrideva, poi a volte si lasciava andare e succhiava quelle mani dal sapore dolcissimo di pelle condita dal sapore giallo del limone.
Entrambi erano molto stanchi, si sedettero sul lato del palco con le gambe penzoloni chiacchierando di sciocchezze importanti.
Nella stanchezza iniziarono a parlarsi in francese con un sacco di parole inventate, a sorridere tra di loro con una complicità propria di chi si è sempre conosciuto: entrambi amavano questa lingua, il suono, il coinvolgimento di certe pronunce, ma non l’avevano mai studiata, eppure quei pochi suoni storditi sembravano perfetti per le loro emozioni.
La piece era riuscita bene, adesso Ivonne era con abiti fuori scena, ancora lucente in viso per l’ardore della serata, si avvicinò con il viso ad Alain, e non servirono parole per comunicargli quello che le passava dentro: uno sprofondante bisogno di lui.
Alain le baciò gli occhi, e con il dito seguì il profilo verde della sua maglietta sul decolté. Lei si agitò leggermente dondolando sulle natiche e afferrandogli le gambe, aveva gli occhi che brillavano in silenzio.
Poi, prendendole la mano, la portò con sé, seduta davanti al pianoforte.
Alain iniziò a cantare, sorseggiando ancora la birra: canzoni arruffate fra cui “Via, via, vieni via con me entra in questo amore buio, non perderti per niente al mondo… “ e Ivonne le passava la mano sul collo, e poi dentro la camicia, scolpendo i contorni delle spalle, Alain fumava quasi distratto una sigaretta dietro l’altra. Ivonne allungò le sue dita prendendogliela e iniziò a fumare posando la bocca sul mozzicone umido di Alain.
Erano vicinissimi.
I faretti rossi proiettavano i riflessi del palco sui loro corpi, ombre che scrivevano segni strani su mappe geografiche.
Con molta delicatezza si spogliarono entrambi. Il corpo lattiginoso di Alain, l’ambra di Ivonne.
Erano anni che attendevano quel momento.
Una serie di fuoritempi avevano rallentato la loro melodia.
Si erano ritrovati spesso in giro per mezza Europa, fra hotel lasciati in fretta e rumorosi check in di aeroporti, nelle file delle stazioni, senza mai osare di andare oltre, e al tempo stesso entrando sempre di più nelle rispettive vite.
Erano anni che si desideravano, e non era mancato il modo di dirselo. Un’affinità profonda e priva di nome che ricamava il tempo, le distanze, senza togliere il respiro.
Alain le slacciò il fiocco del corpetto, poi dopo aver molto guerreggiato riuscì a sfilare anche il reggiseno. Si ritrovarono nudi sul palco spoglio.
Le finestre del teatro erano ancora aperte.
Dall’ultimo piano della palazzina di fianco uno studente ripeteva un pezzo molto difficile con il suo stanco violino. Senza accorgersene i loro movimenti seguivano l’andamento di questa musica, piena a tratti nervosa, a volte violenta.
Alain affondò le mani fini e determinate in quella carne che aveva sempre sognato e che odorava di bianco, anzi di borotalco. Morse i suoi seni. Ivonne lo lasciò fare stringendolo forte a sé, studiando con i palmi delle mani le incavature, le nervature, le anche di quel corpo che sopra di lei la muoveva fortissima.
Dallo sterno di Ivonne qualche goccia di sangue innocua si sparse sul ventre di Alain.
Adesso la stringeva, impedendole di aprire gambe e braccia, e cercando comunque di averla, di penetrarla, tenendola così chiusa e prigioniera sotto di sé, bagnandola con l’odore della sua voglia.
Avrebbe voluto gridare Ivonne, ma lui la intimava “ Ssshhh”, e lei capì che nel silenzio c’era più spazio per assaporare tutto il resto dei sensi. Succhiava la pelle di lui che sembrava epidermide di mare. E poi lui la portava sopra di sé “ Piegati, verso di me” guidandola, stringendola, avendola, in tanti modi, come un mosaico di figure umane intrecciate di composizioni caleidoscopiche, sondando ogni entrata, smorzando ogni gemito, un crescendo di avvinghiamenti interiori di cui la pelle era solo il foglio su cui si scriveva l’invisibile.
I loro corpi si annodavano, si toccavano, si compenetravano, si affamavano, si avevano confondendosi con le funi stese sul pavimento.
E Ivonne silenziosa credette di impazzire di piacere.
Sentiva la bocca di Alain in discesa libera suonare con la lingua i suoi echi più umidi, schiuderle la corolla rosa conservata nell’ inguine, sentiva l’onda fra le corde crescere nella bocca di lui e la schiena incurvarsi, protendersi, combattere, arrendersi, mentre i glutei tesi si divaricavano sotto le sue mani lasciando altri spazi e lei stringeva con le dita i piedi di Alain, forte, tenendosi, come aggrapparsi a una parete rocciosa prima del volo, e urlare strappare l’orgasmo nel cuore della notte: odore di amore consumato dissolversi nell’aria e nel rumore dell’amplesso persino il suono del violino dell’ultimo piano si interruppe.
Facendo la doccia aveva notato un piccolo segno sul seno destro, sorrise, pensandolo come un privatissimo tatuaggio di quella notte.
Alain partì la mattina con il primo aereo per Parigi, Ivonne fece un giro a piedi.
L’ultimo sguardo su Praga lo riempì con la magia di Malastrana, dove camminò il mattino seguente, sentendo tra le gambe ancora il bruciore di tanto amore di tanto sesso consumato su quel palco nel teatro centrale.
Nella via degli Alchimisti piccole domande senza risposta tintinnarono nella sua mente, avvertì la magia di quell’incontro darle forza e occhi nuovi.
Iniziò a piovere e portandosi l’ombrello più vicino, sentì sulla pelle del suo braccio l’odore della pelle di Alain, quel gusto forte di amaro.
Salì sul taxi diretta alla stazione, con il suo piccolo bagaglio.
I taxi sono crudeli: hanno sempre un andamento lento, quasi suadente, dolce e sadico perché danno il tempo di rivedere i luoghi di un passato recente che nel momento della partenza sembrano già smembrarsi.
Anche a Ivonne vennero gli occhi umidi, come Alain qualche ora prima.
Rammentò quanto fosse ancora vicino l’odore di lenzuola pulite nell’hotel disfatte con Alain poco prima dell’alba, un odore di pulito, di recente, di candido.
Strinse a sé il suo bagaglio.
Si sentiva strana, non era tristezza, non era solitudine.
Anzi, si sentiva piena. Si sentiva di appartenere a qualcuno, anche se tale appartenenza era senza nome.
Quindi si sentiva di essere.
Libertà è una grande parola, eppure non basta da sola per sentire di esserci, senza l’altro sembra quasi di non esserci.
Il taxi dopo il piccolo tormento del viaggio la portò a destinazione.
Scese, abbozzando un sorriso poco lucente nel cielo malato di Praga.
E poi si addormentò sul seggiolino nel vagone, dopo aver preso appunti su tutte le sue sensazioni,cadde in un sonno leggero, portandosi la mano sul seno destro, rannicchiandosi in sè.
Mentre dormiva diversi odori le inebriavano il sogno alchemico, quasi a tracciare silenziosi la formula segreta: tabacco, limoni, formaggi, salmastro, deodorante, borotalco, birra, umori, piacere, odore di pavimento e poi di lenzuola pulite, fiume che scorre, becherovka, caramelle alla menta e liquirizia, odori apparentemente senza relazione con ciò che di forte la legava a Alain, ma le cose dentro devono per forza vestirsi con i profumi prestati dalle cose fuori. Sono l’inchiostro con cui senza vedere si scrivono le proprie storie conferendo un altro modo di vedere le cose che va al di là degli occhi, del cuore.
I colori odoranti di quei pochissimi giorni ballavano nei suoi pensieri più segreti e un verso musicale risuonava “Via, via, vieni via con me entra in questo amore buio, non perderti per niente al mondo…”.
Non riconosceva l’odore di questo verso, ma dentro di sé, a bassa voce sapeva benissimo che pur non volendolo ammettere era un odore così vicino all’odore dell’Amore.
Anzi, indubbiamente, era proprio quello. Un odore irrinunciabile che viaggia su binari senza nome.

Eri
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22/07/2005 14:41
 
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Losh
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Re:

Scritto da: loshrike 22/07/2005 14.41
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Unico. Complimenti.

Losh


grazie losh...;))

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25/07/2005 21:07
 
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Secondo me dovresti scrivere un libro.. o anche una raccolta dei tuoi racconti.. personalmente credo che avresti successo...

Losh
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29/07/2005 23:42
 
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Re:

Scritto da: loshrike 25/07/2005 21.07
Secondo me dovresti scrivere un libro.. o anche una raccolta dei tuoi racconti.. personalmente credo che avresti successo...

Losh



5 anni sono tanti....intendo di scrittura di racconti

in qsta estate sto selezionando...

è un primo passo

grazie dell'incoraggiamento....

:)
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tua erika
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01/08/2005 08:50
 
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davvero brava bravissima

riesci a portare il lettore sul "teatro" della scena

[SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]

note importanti:
* provare birra e coca con becherovka [SM=g27824]
** provare lo sfilareggiseno con sistema molto guerreggiato [SM=g27828]

ciao ciao


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