La notizia dalla morte di Marco Pantani, è arrivata diretta come un colpo, come una pugnalata al cuore, la sera del 14 febbraio 2004. Viveva nell'ombra, da mesi non se ne sentiva più parlare, ma nessuno se lo era dimenticato. Il Pirata ha lasciato un segno indelebile nella memoria degli italiani, non tanto in quelli che gravitano attorno al mondo delle ruote (il che sarebbe scontato), quanto piuttosto nella mente della gente comune, che aveva imparato ad amare il ciclismo proprio grazie a Marco Pantani. Ma non solo.
A lasciare il segno nella gente, anche il dramma dell'uomo, bersagliato dalla magistratura, emarginato da buona parte dei colleghi (anche se mai dichiaratamente), preso di mira dalla sfortuna, con la quale ha dovuto fare i conti in troppe circostanze. Ha saputo rialzarsi mille volte; nel 1995 dopo essere stato investito in auto, poi successivamente dopo essere stato "caricato" da una jeep che saliva in senso contrario durante la Milano-Torino; poi ancora era caduto al Giro, dopo essersi faticosamente ripreso da quel pauroso incidente. Quindi nel 1998 era tornato, sembrava che la sfortuna fosse solo un brutto ricordo e volava, sostenuto da due ali di folla che gremivano i tornanti delle più celebri salite di Appennini, Alpi e Pirenei e da due gambarelli forti, agili e scattanti come non ve ne sono mai stati nella storia delle due ruote.
Vietato dimenticare il campione più grande
Lo hanno schiacciato le pressioni dei media e del "suo" ambiente, non ha saputo gestire lo stress accumulato negli ultimi cinque anni, vale a dire dalla 20esima tappa del Giro d'Italia 1999, quando a Madonna di Campiglio venne fermato per valori ematici troppo elevati, fino al giorno in cui si è tolto la vita. Quel maledetto 5 giugno del '99 per Pantani è stato il bivio da cui ha imboccato la via della morte.
Il pirata di Cesenatico tentò in più di una circostanza di risalire in sella e dimostrare al mondo intero che ciò che aveva saputo regalare al ciclismo e allo sport italiano, era frutto delle sue qualità, del suo sacrificio, del suo straordinario talento che, statene certi, in futuro farà sentire la propria mancanza. Ma Pantani non era personaggio simpatico, nell'ambiente; vinceva troppo, ammazzava le grandi gare a tappe, catalizzava l'intera attenzione di mass media, addetti ai lavori, tifosi e gente comune; distoglieva l'attenzione da altri; era un uomo scomodo nell'ambiente e, come dice qualcuno, c'era chi voleva in qualche modo tagliarlo fuori.
Così è cominciata un lunga battaglia contro il Pelato, tartassato come nessun altro prima e probabilmente anche dopo di lui. Processi, squalifiche, cattiverie gratuite, indiscrezioni meschine; in pochi gli sono stati davvero vicino in questi anni, e molti che un tempo parevano esergli amici, improvvisamente hanno voltato gabbana.
Ma poi Marco è arrivato al punto di trovarsi solo; dopo un rientro stentato ha capito che si trovava sulla via del tramonto; è caduto in una profonda crisi depressiva che addirittura lo ha portato a rifugiarsi in un centro di recupero psicofisico, nella speranza di uscirne rigenerato; evidentemente non è stato così.
Pantani ha finito la propria vita nel modo probabilmente più indegno possibile per lo spessore dei risultati ottenuti e per quanto ha regalato al mondo dello sport italiano. E' morto probabilmente suicida, in preda alla depressione, nello squallore della stanza di un residence (con tutto il rispetto per "Le Rose", dove Pantani ha trascorso le ultime ore di vita), nel giorno di San Valentino ma soprattutto da solo. Tutti gli amici di un tempo sono improvvisamente spariti; e Marco ha pagato a caro prezzo quel suo modo di saper infiammare gli animi di un Paese che, con il Pirata, ha probabilmente perso l'ultimo vero idolo che abbia veramente amato.
Keko :cicl2: