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Gandhi La forza della nonviolenza

Ultimo Aggiornamento: 19/07/2006 21:42
18/07/2006 20:32
 
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Mohandas Karamchard Gandhi, detto il Mahatma (soprannome datogli dal poeta indiano R.Tagore che in sanscrito significa “Grande Anima”), è il fondatore della nonviolenza e il padre dell’indipendenza indiana.

Nasce a Portbandar in India il 2 ottobre 1869. Dopo aver studiato nelle università di Ahmrdabad e Londra ed essersi laureato in giurisprudenza, esercita brevemente l’avvocatura a Bombay.
Nel 1893 si reca in Sud Africa con l’incarico di consulente legale per una ditta indiana e vi rimane per 21 anni. Qui si scontra con una realtà terribile, in cui migliaia di immigrati indiani sono vittime della segregazione razziale. L’indignazione per le discriminazioni razziali subite dai suoi connazionali (e da lui stesso) da parte delle autorità britanniche, lo spingono alla lotta politica. Il Mahatma si batte per il riconoscimento dei diritti dei suoi compatrioti e dal 1906 lancia, a livello di massa, il suo metodo di lotta basato sulla resistenza nonviolenta- “satyagraha”: una forma di non-collaborazione radicale con il governo britannico, concepita come mezzo di pressione di massa. Gandhi giunge all’uguaglianza sociale e politica tramite le ribellioni pacifiche e le marce. Alla fine, infatti, il governo sudafricano attua importanti riforme a favore dei lavoratori indiani (eliminazione di parte delle vecchie leggi discriminatorie, riconoscimento ai nuovi immigrati della parità dei diritti e validità dei matrimoni religiosi).
Nel 1915 Gandhi torna in India, dove circolano già da tempo fermenti di ribellione contro l’arroganza del dominio britannico (in particolare per la nuova legislazione agraria, che prevedeva il sequestro delle terre ai contadini in caso di scarso o mancato raccolto, e per la crisi dell’artigianato). Egli diventa il leader del Partito del Congresso, partito che si batte per la liberazione dal colonialismo britannico.

- 1919: prima grande campagna satyagraha di disobbedienza civile, che prevede il boicottaggio delle merci inglesi e il non-pagamento delle imposte. Il Mahatma subisce un processo ed è arrestato.

- 1921: seconda grande campagna satyagraha di disobbedienza civile per rivendicare il diritto all’indipendenza. Incarcerato, rilasciato, Gandhi partecipa alla Conferenza di Londra sul problema indiano, chiedendo l’indipendenza del suo paese.

- 1930: terza campagna di resistenza. La marcia del sale: disobbedienza contro la tassa sul sale (la più iniqua perché colpiva soprattutto le classi povere). La campagna si allarga con il boicottaggio dei tessuti provenienti dall’estero. Gli inglesi arrestano Gandhi, sua moglie e altre 50.000 persone.
Spesso incarcerato negli anni successivi, la “Grande Anima” risponde agli arresti con lunghissimi scioperi della fame (importante è quello che egli intraprende per richiamare l’attenzione sul problema della condizione degli intoccabili, la casta più bassa della società indiana).
All’inizio della Seconda Guerra Mondiale, Gandhi decide di non sostenere l’Inghilterra se questa non garantisce all’India l’indipendenza. Il governo britannico reagisce con l’arresto di oltre 60.000 oppositori e dello stesso Mahatma, che è rilasciato dopo due anni.
Il 15 agosto 1947 l’India conquista l’indipendenza. Gandhi, però, vive questo momento con dolore, pregando e digiunando. Il subcontinente indiano è diviso in due stati, India e Pakistan, la cui creazione sancisce la separazione fra indù e musulmani e culmina in una violenta guerra civile che costa, alla fine del 1947, quasi un milione di morti e sei milioni di profughi.

L’atteggiamento moderato di Gandhi sul problema della divisione del paese suscita l’odio di un fanatico indù che lo uccide il 30 gennaio 1948, durante un incontro di preghiera.
18/07/2006 20:35
 
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Il pensiero di Gandhi si basa su tre punti fondamentali:


Autodeterminazione dei popoli: Gandhi riteneva fondamentale il fatto che gli indiani potessero decidere come governare il loro paese, perché la miseria nella quale si trovava dipendeva dallo sfruttamento delle risorse da parte dei colonizzatori britannici.


Nonviolenza: è necessario precisare che tale precetto non si ferma ad una posizione negativa (non essere causa di male agli altri) ma possiede in sé la carica positiva della benevolenza universale e diventa l’”amore puro” comandato dai sacri testi dell’Induismo, dai Vangeli e dal Corano. La nonviolenza è quindi un imperativo religioso prima che un principio dell’azione politico-sociale.
Il Mahatma rifiuta la violenza come strategia di lotta in quanto la violenza suscita solamente altra violenza. Di fronte ai violenti e agli oppressori, però, non è passivo, anzi. Egli propone una strategia che consiste nella resistenza passiva, il non reagire, in altre parole, alle provocazioni dei violenti, e nella disobbedienza civile, vale a dire il rifiuto di sottoporsi a leggi ingiuste.
“La mia non-cooperazione non nuoce a nessuno; è non-cooperazione con il male,… portato a sistema, non con chi fa il male” (Gandhi, Gandhi Parla di Stesso, p.128).


Tolleranza religiosa: ”… il mio più intimo desiderio” dice Ghandhi “… è di realizzare la fratellanza … tra tutti gli uomini, indù, musulmani, cristiani, parsi e ebrei” (M.K.Gandhi, Gandhi Parla di Se Stesso, p.83). Gandhi sognava la convivenza pacifica e rispettosa dei tantissimi gruppi etnici e delle diverse professioni religiose presenti in India. Queste erano delle ricchezze che dovevano convivere e non dividere politicamente la nazione. Purtroppo, gli eventi non andarono come sperava Gandhi.
18/07/2006 20:37
 
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Il messaggio che il Mahatma
ci lascia è molto attuale e la storia contemporanea, purtroppo, continua ad essere macchiata dalla guerra e dalla violenza.

Gandhi, “piccolo grande uomo”, riesce con le sue sole forze, a sconfiggere il potente Impero britannico e a realizzare il suo grande sogno dell’indipendenza per il suo paese. Come? Con la forza sbalorditiva della nonviolenza, del boicottaggio pacifico, della resistenza passiva e della ricerca della Verità (Dio).

Come possiamo rendere attuale Gandhi? Come possiamo essere anche noi portatori di pace?

Gandhi dimostra che la forza di un singolo uomo può diventare la forza di un popolo intero. Non dobbiamo quindi disperare se ci sembra che poteri superiori vogliano decidere per noi e armarci la mano. Gandhi stesso, con le sue parole, ci incoraggia a “cercare … la propria strada e … seguirla senza esitazioni” e a “non avere paura”. Rivolgendosi a ciascuno di noi aggiunge: “…affidati alla piccola voce interiore che abita il tuo cuore e che ti esorta ad abbandonare …, tutto, per dare la tua testimonianza di ciò per cui hai vissuto e di ciò per cui sei pronto a morire” (The Bombay Chronicle, 9 agosto 1942).
18/07/2006 20:37
 
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Il precetto della seguente strofa didattica di Gajarati – rispondere al male con il bene – fu il principio guida di Gandhi:

“Per una scodella d’acqua,

rendi un pasto abbondante;

per un saluto gentile,

prostrati a terra con zelo;

per un semplice soldo,

ripaga con oro;

se ti salvano la vita,

non risparmiare la tua.



Così parole e azione del saggio riverisci;

per ogni piccolo servizio,

dà un compenso dieci volte maggiore:



Chi è davvero nobile,

conosce tutti come uno solo

e rende con gioia bene per male”.
19/07/2006 11:59
 
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gran maestro
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gandhi e la disobbedienza civile
Mohandas Karamcand Gandhi, detto il Mahatma (cioè 'grande anima'), è considerato l'apostolo della 'non violenza', l'inventore della disobbedienza civile'. Il suo insegnamento ha valicato i confini dell'India, dove Gandhi è nato e vissuto, e si è diffuso nel mondo intero, influenzando tutti i movimenti pacifisti. Un esempio: il 'leader' nero Martin Luther King, americano, assassinato a Memphis nel 1968, era un seguace del Mahatma. La meta di Gandhi era duplice: da un lato, ottenere l'indipendenza per il suo paese, dall'altro lato combattere le grandi differenze sociali che avvelenavano il suo popolo.

Dal 1893 al 1914 Gandhi visse in Africa. Si adoperò per l'istruzione dei suoi connazionali, fondò scuole, ospedali, creò giornali. Lottò per abolire le caste che, anche in quella terra lontana, dividevano gli Indiani in cittadini di diverse categorie. Fondò una comune agricola, che avrebbe dovuto vivere unicamente del proprio lavoro e dei prodotti della terra. Si mise in urto con le autorità governative ed elaborò i primi principi della disobbedienza civile, una lotta non armata, non violenta, ma non per questo meno efficace. L'impegno per l'indipendenza. Tornato in patria si mise al lavoro per ottenere per il suo popolo l'indipendenza. Il popolo incominciò a seguirlo, ad appassionarsi alle sue idee. Gli Inglesi, che avevano immediatamente compreso la pericolosità del suo metodo di lotta, un metodo che disdegnava i fucili e gli attentati preferendo un'azione più lenta, ma più sicura, lo combatterono aspramente. Più volte lo misero in prigione e ogni volta Gandhi rispose con lo sciopero della fame, giungendo anche molto vicino alla morte per sfinimento. Nel 1930 Gandhi, per opporsi al monopolio inglese del sale, organizzò una lunga marcia di protesta. Arrivato finalmente in una località sul mare, con un pugno di seguaci cominciò a raccogliere il sale delle saline. Arrestato, venne liberato dopo un lungo, estenuante digiuno volontario. Nel 1931 partecipò a una conferenza, a Londra, ne della quale chiese l'indipendenza per la sua patria, avendola ottenuta, tornò in India e riprese la sua non violenza

Sono molti i modi per attuare la disobbedienza civile: vanno dal mancato pagamento delle tasse, al riacquistare certi prodotti, allo sciopero della fame. Scioperi Gandhi ne compì, nel corso della sua esistenza, l'ultimo dei quali, per la pacificazione religiosa del popolo, pochi giorni prima della morte. Più volte incarcerato, perennemente fedele ai principi avevano accompagnato per tutta la vita, Gandhi vide realmente realizzarsi il suo sogno il 15 agosto 1947, quando venne proclamata l'indipendenza dell'India. Ma la lotta non era ancora finita; rimaneva ancora come giungere alla pace interna tra le due grandi comunità dell'India: gli indù e i musulmani. Gli sforzi di Gandhi in quest'ultimo obiettivo, però, risultarono vani e fu proprio un fanatico indù ad assassinarlo il 30 gennaio 1948 a Delhi, la capitale indiana, al termine di una cerimonia religiosa

19/07/2006 21:21
 
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La società indiana prima dello sbarco inglese:
L’India era, agli inizi del secolo, un paese che andava lentamente destandosi da una quasi immobilità plurimillenaria. Dalle origini della sua storia, o almeno da quando le popolazGandhi con due donne indianeioni ariane invasero la parte settentrionale del paese intorno al 1500 a.C. e vi insediarono sottoponendo a sé le popolazioni aborigine di stirpe dravidica, la società indiana non aveva subito trasformazioni sostanziali. La popolazione indiana è sempre stata composta dall’80 al 90 per cento di contadini. Agli inizi del secolo, circa 300 milioni di contadini indiani coltivavano la terra con l’ausilio di pochi attrezzi rudimentali, di qualche coppia di buoi, ma, soprattutto, con il beneplacito dei monsoni, che sono i veri arbitri dell’agricoltura indiana. Vivevano come erano sempre vissuti: in centinaia di migliaia di villaggi, composti di case di bambù e fango. Il villaggio è rimasto per secoli in india una comunità chiusa ed autosufficiente. Una agricoltura di sussistenza provvedeva ai bisogni alimentari degli stessi contadi, degli artigiani, del contabile, del sacerdote, della guardia, ecc., che prestavano la loro opera di beneficio della comunità del villaggio, secondo i bisogni dei singoli, ricevendone in cambio il sostenimento. Prima dell’avvento degli inglesi, non esisteva in India la proprietà individuale della terra. La collettività del villaggio godeva del possesso stabile della terra che coltivava; aveva la proprietà invece dei suoi frutti il re, dedotta in una quota variante da 1/4 a 1/2 a seconda delle epoche chiamata la "quota del re", che veniva esatta o direttamente o, più spesso, attraverso intermediari chiamati zamidari, dal sovrano. Questo era praticamente l’unico rapporto tra il villaggio ed il potere politico. Per il resto il villaggio oltreché mantenersi si amministrava da sé, e spesso si difendeva da sé. Insieme al villaggio autosufficiente, gli altri due cardini della società indiana tradizionale erano la casta e la famiglia patriarcale. Ogni casta costituisce una corporazione chiusa, che si governa con proprie leggi e statuti. La famiglia patriarcale è l’unità morale ed economica di base. Il patrimonio familiare assorbe i beni acquistati a qualsiasi titolo dai singoli componenti ed è amministrato dal consiglio di famiglia, di cui è capo rispettato il membro maschio più anziano. E’ lui che esercita su tutti i membri del gruppo poteri più ampi di quelli che in occidente si riassumono nella potestà. Per due millenni il villaggio autosufficiente, la casta, la famiglia gentilizia hanno costituito la trama del tessuto sociale indiano, una trama così robusta da resistere al logorio ed alla consumazione delle strutture statali.
19/07/2006 21:42
 
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Gandhi e le religioni del mondo
Consideriamo Gandhi come un uomo universale che aveva una fede costante negli immortali valori umani e denunciava tutti i tipi di barriere: geografica, razziale, culturale ecc.
Riguardo alle diverse religioni nel mondo egli credeva profondamente che: "Tutte le religioni hanno una sorgente e nessun uomo ha il diritto di dire che la sua è la migliore, o che sia la sola vera forma di credo".
L'induismo di Gandhi era una religione con una prospettiva universale. Egli si lasciò influenzare da tutte le culture, e rifiutò di ridurre la sua eredità culturale a una visione ristretta della vita e degli eventi
Gandhi credeva nella grandezza di tutte le religioni. Egli dice: "Io credo la verità fondamentale di tutte le grandi religioni del mondo". Ogni qualvolta Gandhi ne aveva l'opportunità, egli citava le sacre scritture Hindu, Islamiche e cristiane alle riunioni di preghiera. Gandhi provava a capire e adottava ogni cosa che trovava essere di valore nelle altre religioni. Lui credeva in tutti i grandi profeti e santi. Lui proclama: "Il mio induismo non è settario. Esso include tutto ciò che io so essere il meglio nell'Islamismo, nel Cristianesimo, nel Buddismo e Zoroastrismo".
Gandhi non separava mai la sua religione dal resto della sua vita. Egli dice: "Io non conosco alcuna religione a parte l'attività umana".
Gandhi era un uomo politico che regolava la sua vita politica sui dettami dei principi morali e religiosi e in base alla voce della coscienza.
Thomas Matron riconosce un appropriato tributo a Gandhi, quando dice: "Per Gandhi, strano che possa sembrarci, l'azione politica deve essere la sua vera natura di religioso, nel senso che, essa doveva essere permeata dai principi di saggezza religiosa e psicologica. Separare religione e politica era agli occhi di Gandhi "follia", perché per Gandhi, la politica è fondata interamente su una religiosa interpretazione della realtà della vita e della condizione dell'uomo nel mondo".
Nella prospettiva di Gandhi "Dio" e "Verità" hanno la stessa denotazione. Perciò l'asserzione "Dio è Verità" può essere convertita semplicemente senza cadere in errore. Il significato psicologico di questa citazione è rilevante. Dopo "Crossed the Sahara of atheism", Gandhi accettò l'idea di Dio delle religioni del mondo.
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