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ARTE e CIBO

Ultimo Aggiornamento: 04/09/2006 13:29
03/09/2006 12:32
 
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Sala da pranzo e da banchetto

Nei palazzi gentilizi dell’antica Roma varie sale erano destinate al consumo dei pasti, ma dopo la caduta dell’Impero questi spazi divennero una rarità.
Il graduale processo di riseparazione fra il luogo dell’elaborazione del cibo (cucina) e quello destinato al suo consumo cominciò all’inizio del Rinascimento. Nel XV sec. il Platina affermava che la mensa doveva essere preparata nel luogo più consono alle diverse stagioni, d’inverno in luoghi caldi e chiusi, d’estate all’aria aperta e al fresco, senza una stanza preposta a quell’unica funzione.
Se nel Medioevo la tavola era formata da una mensa appoggiata su due cavalletti, facilmente smontabili, nel Rinascimento divenne un mobile fisso, elaborato e massiccio, da collocare in una sala arricchita dalla credenza.
Con il ‘600 la sala da pranzo si affermò come luogo stabile nella struttura della casa, ambiente nel quale la famiglia si riuniva e riceveva.
Diverse erano le necessità logistiche per i pasti con molti commensali. Greci e Romani fecero del banchetto un arte con appositi spazi ad esso dedicati.
Nel tardo Medioevo era costume fra le famiglie gentilizie ricevere in strada, disponendo le tavole sotto la loggia, mentre nei castelli feudali i banchetti erano serviti nella sala più ampia del palazzo.
Nelle dimore aristocratiche rinascimentali e barocche il banchetto veniva organizzato in uno dei saloni più grandi, ove si allestivano raffinate scenografie.
Dall’epoca Romana, rimase costante durante la bella stagione l’uso del giardino come luogo dove consumare pasti ordinari o approntare banchetti.
Significato
Intimità domestica, aulicità e raffinatezza.
Iconografia
Ambientazione frequente nelle scene di genere fiamminghe. compare nelle cene cristiche fra ‘500 e ‘700.


03/09/2006 12:33
 
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La Cucina
Assente dalle case dell’antica Grecia, ove l’elaborazione del cibo era sacrale e pertanto pubblica, la cucina come locale adibito alla preparazione delle vivande ha tuttavia una storia antica.
A partire dal III sec. a.C. le cucine romane erano attrezzate in modo analogo alle attuali, costituendo nelle case più umili, punto d’incontro della famiglia e luogo per consumare i pasti.
Nel Rinascimento, le cucine signorili s’ingrandirono, arricchendosi di un vasto camino centrale o di più camini a parete muniti d’alari e di una cremagliera a parete con catene che sorreggevano marmitte e calderoni.
Quasi fosse un laboratorio alchemico, la cucina doveva essere posta lontano dagli occhi dei padroni di casa e dei loro ospiti.
Proprio in questa epoca la distinzione tra pubblico e privato, formale e informale si fece netta, con il personale specializzato alla creazione gastronomica relegato a svolgere le proprie mansioni dietro le quinte del palcoscenico della vita sociale.
Dal ‘500 la cucina divenne un soggetto pittorico frequente, tramite il quale con la ricchezza delle masserizie gli artisti celebravano l’abbondanza e i piaceri dei sensi.
L’800 e l’affermarsi della borghesia, assegnarono alla cucina funzioni diverse a seconda dell’area geografica d’appartenenza:
in Italia e Francia erano semplici spazi di servizio frequentati dai soli domestici, mentre nei paesi tedeschi, fiamminghi e anglosassoni erano stanze ampie e accoglienti, dove ci si riuniva oltre che per mangiare anche per ricevere gli ospiti in modo informale.
Significato
Intimità domestica, ricchezza, alchimia
Iconografia
Amato dalla pittura nordica, il tema della cucina compare soprattutto nelle scene di genere tra ‘600 e ‘700 o nelle cene cristiche dello stesso periodo.



La ricca cucina - Daviod Teniers V. (1644)
03/09/2006 12:35
 
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3 SET: La Bottega
Quella del venditore ambulante è stata la più antica forma di commercio, ma le botteghe dove si effettuavano la vendita giornaliera degli alimenti esistevano già nella Roma antica.
Con il declino dell’Impero e l’imporsi dell’economia feudale si affermò la tendenza a produrre ed elaborare autonomamente le materie prime alimentari, con il conseguente decadimento della bottega.
Intorno al XIII sec. con il rifiorire dell’economia cittadina, si moltiplicarono soprattutto gli spacci associati a laboratori artigiani, come panifici, rosticcerie, pasticcerie, spezierie e macellerie.
Nelle città medievali e rinascimentali le rivendite erano collocate al piano terra degli edifici dove ai piani superiori risiedevano le famiglie dei commercianti.
Nelle vie, le botteghe si susseguivano affiancate le une alle altre, e a volte c’erano delle tettoie che prolungavano direttamente sulla strada l’esposizione delle merci.
Sono frequenti nei dipinti dell’epoca, particolarmente ad opera di fiamminghi, le immagini di botteghe così costruite, nelle quali l’esposizione e l’abbondanza delle merci richiamavano soprattutto l’idea dei piaceri terreni legati ai sensi e alle insidie in essi contenute.
L’anomalo teatro di una scena di genere era la macelleria, dove le carcasse degli animali sottolineavano l’ambiente popolare e un provocatorio materialismo.
Le associazioni di più botteghe in un percorso coperto, rappresentarono un punto di passaggio fondamentale di quel processo che culminerà nell’Ottocento con la nascita del negozio cittadino moderno, completamente chiuso, dotato di vetrine ampie e luminose con vista dall’esterno della merce esposta.
Significato
Sollecitazione sensuale, ricchezza.
Iconografia
Il soggetto si afferma nel ‘600 sia presso i pittori italiani che fiamminghi come parte della scena di genere.



Il fornaio - Job Berckheyde (1681)
03/09/2006 12:36
 
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Il Mercato
La nascita del mercato rappresentò un capitolo significativo nella storia del commercio del cibo. Le fiere nacquero dall’aggregazione di venditori ambulanti che, a scadenze prefissate del calendario civile o religioso, si riunivano per offrire i loro prodotti.
Nella Roma antica il mercato era un vero e proprio specchio della potenza economica dell’Urbe.
Durante l’alto Medioevo, con l’economia feudale l’istituzione sembrò temporaneamente tramontare, per rinascere intorno al XIII sec. per il rifiorire dei nuclei cittadini.
Nelle città del Rinascimento e fino all’inizio del XIX sec. il mercato svolse un ruolo significativo nell’affermarsi di costumi alimentari locali.
Dalla seconda metà del ‘500 e per tutto il ‘600 le scene di mercato si affacciarono con frequenza nelle opere pittoriche, dall’Italia alle Fiandre. Esse celebravano l’abbondanza derivata dalla crescente fiducia nel commercio, fonte primaria di ricchezza per le nuove classi emergenti.
Nel ‘700, questo genere di soggetti, andarono ad identificare il nuovo senso illuministico della sicurezza economica, che si traduceva nella sensazione di avere sconfitto per sempre la fame.
Poi, negli ultimi decenni dell’800, arrivò diffusamente l'innovazione della formula del mercato coperto, che venne evidenziata artisticamente con la presenza delle insegne commerciali, poste sull’esterno degli edifici per catturare l’attenzione dei compratori.
Significato simbolico
Ricchezza, sollecitazione sensuale.
Iconografia
Questo soggetto sembra aver trovato espressione soprattutto in alcuni pittori fiamminghi e nell’opera dell’italiano Vincenzo Campi.




Donna al mercato - Pieter Aertsen (1567)
03/09/2006 12:38
 
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Nature morte e tavola


Cesto di frutta - Caravaggio (1595/6)

Nel XVII sec. la natura morta era molto richiesta per il suo carattere decorativo, ma occupava l’ultimo posto nella graduatoria dei temi figurativi, dopo le pale d’altare, i soggetti a carattere storico, i paesaggi e i ritratti.
Solo pochi artisti si dedicarono interamente a questo genere scarsamente remunerato.
Riprodurre le differenze dei singoli prodotti fu una sfida così grande per le capacità dei pittori, che l’intento di costruire una gradevole composizione decorativa passava in secondo piano.
Il principio di tutte le nature morte si fonda su una riproduzione dell’aspetto naturale delle cose che superi il visibile, un’illusione dell’occhio umano.
Jacopo Chimenti (1551-1640) conosciuto come un buongustaio, realizzò addirittura dieci nature morte. La disposizione dei prodotti della terra e della cucina ci offre un mondo colorato, composto dai prodotti che si trovavano nei ricchi mercati cittadini del tempo.
Polli, salsicce, carne, recipienti e cibi, sono presentati su un fondo scuro che aumenta l’effetto della luce, offrendo allo spettatore la possibilità di distinguere i cibi fra cotti e crudi.
Caravaggio realizzò invece un'unica natura morta a se stante: il “cesto di frutta”. Il volume di ogni frutto, di ogni foglia, di ogni tralcio, sono messi in risalto dal taglio prospettico e da riflessi di luce magistralmente sfumati. Questo capolavoro ispirò nei decenni seguenti numerosi imitatori.
Sotto l’influsso delle nature morte fiamminghe ambientate nelle cucine e nei mercati, pittori come Vincenzo Campi (ca. 1535/40–1591) crearono quadri nei quali la rude vita quotidiana e la ricca offerta dei prodotti del mercato si completavano a vicenda.
In questo scenario si svilupparono nel XVII sec. numerose scuole locali, nelle cui raffigurazioni avevano largo spazio le specialità regionali.
Tipici sono i dipinti degli artisti napoletani Giovanni Battista e Giuseppe Recco che si specializzarono in nature morte di pesci.
La sontuosa disposizione di frutta di molti pittori, soprattutto delle scuole di Roma, Milano e Bologna esercitò forti suggestioni. L’abilità di pittori come Giovanni Paolo Caselli consisteva nel dare alle pesche una buccia vellutata, all’uva una splendida trasparenza, agli agrumi una scorza grinzosa e ai fichi una carnosità invitante.
I cibi già preparati, frequenti nelle nature morte dei Paesi Bassi, si trovano nelle opere italiane solo sporadicamente, in genere sotto forma di dolci, come in Cristoforo Munari.




Cristoforo Munari (1667/1720)
03/09/2006 12:39
 
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Colori e forme dei cibi Medioevali
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I colori avevano grande importanza nella composizione del cibo medievale, un cuoco che per un piatto necessitava del bianco abbinava riso, mandorle o carne di pollo, se invece decideva di usare il giallo usava tuorli d'uovo e zafferano.
Le salse poi, che non avevano lo scopo di nutrire ma di ravvivare o correggere il gusto delle vivande, venivano preparate di svariati colori e servite in diverse ciotole, le une accanto alle altre. Il commensale sceglieva la salsa più in base al colore manifesto che al sapore presunto.
La tavolozza dei cuochi medievali era formata da colori naturali ottenuti da bietole, spinaci, prezzemolo e basilico, o da spezie come cannella, zafferano, o ancora da frutti come uva nera, more, uva passa, prugne.
Nonostante ciò, la gamma dei colori tratti da ingredienti base di cucina era troppo povera, e per la composizione di vivande d'effetto, i cuochi "artisti" non disdegnavano l'uso di coloranti “artificiali”. Troviamo così il succo del legno di sandalo che dava un colore rosa antico, o la radice di alcanna dal colore rosso luminoso che sapientemente usati modulavano dei rossi che arrivavano al violaceo e al blu.
Nel medievo, aveva notevole importanza oltre al colore anche la forma dei cibi. Erano amati quelli che riproducevano linee realmente esistenti e rassicuranti, come per esempio torte e pasticci modellati a forma di ferro di cavallo, anello o lettera dell'alfabeto.
03/09/2006 12:40
 
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Trionfi sulla tavola medievale
La passione di arricchire la tavola con creazioni artistiche di pasta o d’altro ingrediente gastronomico risale ai tempi antichi, e il banchetto di Trimalcione ne fornisce un esempio indicativo.
L’Italia delle corti medioevali, per distinguersi dai ceti inferiori, si lasciava travolgere dal lusso e dallo sfarzo di banchetti decorati sontuosamente.
Sulle tavole si potevano ammirare pietanze complesse, ornate in modo vistoso all’insegna del colore e della forma. Ogni cibo doveva avere una decorazione e una colorazione adeguata. L’antico “liber de coquina”, capostipite degli antichi ricettari, consigliava come emblema di lusso, d’utilizzare oro e pietre preziose per rivestire gli animali arrostiti prima di portarli in trionfo a tavola.
I cuochi, nella preparazione delle vivande, s’ispiravano soprattutto a pittura del tempo, scene storiche o mitologiche. L’ornamentazione della tavola comprendeva decorazioni di forme fantasiose fatte con pasta, pesci, carni o pasticci.
In diversi ricettari è riportato il pasticcio della convivialità medioevale che ebbe maggior successo: la “testa di monaco”. Non si trattava di una testa, ma di una costruzione bizzarra simile ad un castello, sembra ispirata agli inconfessati peccati di gola dei prelati, e composta a base di tagliatelle, lasagne, ravioli, miele, uva passa, datteri, nocciole, cipolla soffritta.


03/09/2006 12:42
 
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Trionfi di zucchero rinascimentali
Con la scoperta dell’America e lo sviluppo delle grandi piantagioni di “canna”, esplose alle corti europee la passione degli ornamenti da tavola in zucchero. Queste arti plastiche riproducendo qualunque oggetto ed immagine, diventarono espressione di raffinatezza e cultura.
Grazie agli intensi contatti commerciali con i paesi arabi depositari di quest’arte, la fantasia dei credenzieri italiani fu sollecitata, e in particolare i veneziani, che già erano abili nella raffinazione dello zucchero, ne divennero dei veri maestri in Europa. Uno dei metodi più noti per realizzare queste figure, era quello di unire allo zucchero: gomma adragante, acqua di rose e chiara d’uovo, ottenendo così un composto morbido e duttile, che veniva modellato a mano o disteso in forme di legno prima che indurisse. Le dolci ed eleganti decorazioni in zucchero facevano parte sia degli ornamentazioni da tavola nei conviti, che di specifiche “colazioni” preparate a parte, divenute una moda da celebrare dopo i banchetti.
Gli artisti di trionfi della Serenissima, sono così ricordati da Beatrice d’Este (1493), nella lettera che inviò al marito Ludovico il Moro per descrivere la colazione offertagli a palazzo Ducale:
“al suono dei trombetti… prima comparse sopra d’uno asse lo papa, el principe, et lo duca de Milano cum le arme loro et quelle de la Signoria vostra, poi Santo Marco… e tante altre rappresentazioni de diverse cose, tute lavorate de zuccaro dorate… li quali tutti se destendevano per la salla che un bellissimo spectaculo”.
La scenografia zuccherina veneziana più famosa, è però rappresentata dalla colazione offerta per festeggiare il soggiorno presso la Serenissima del re di Francia Enrico III nel 1574. Nella sala del Maggior Consiglio fu organizzata una festa danzante e nel salone attiguo imbandite delle tavole. Su queste c’erano decorazioni, sculture, tovaglie, salviette, piatti, coltelli e pane fatti di zucchero, preparati sui modelli del Sansovino e così ben imitati, che il re rimase sorpreso quando una salvietta, che credeva fosse di tela, gli si spezzò in mano.
“Dinnanzi al seggiolone per il Re… era un tavolino con sopra varie di queste figure, alte alcune quasi un braccio, tra le quali troneggiava una donna in abito da regina seduta in mezzo a due tigri… un San Marco, un David e inoltre due navi perfettamente finite… Dall’altro lato della sala sopra due lunghe tavole v’erano più di duecento altre figure anch’esse di zucchero, rappresentanti papi, re, dogi… i pianeti e un’infinità d’invenzioni, tutte finemente lavorate; ognuna portava attaccato ad uno steccadenti un cartellino coll’indicazione di ciò che rappresentava…”.

03/09/2006 19:18
 
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Post: 2.267
admin
gran maestro
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molto interessane questa serie di post, posso ardire ke è un ottimo abbinamento del cibo all'arte, in perfetto stile artlitteram [SM=g27828]

[SM=x629218]

04/09/2006 13:29
 
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Re:

Scritto da: chicom 03/09/2006 19.18

molto interessane questa serie di post, posso ardire ke è un ottimo abbinamento del cibo all'arte, in perfetto stile artlitteram [SM=g27828]

[SM=x629218]




[SM=g27819] [SM=g27819] [SM=g27819] [SM=g27819] [SM=g27819] [SM=x629185] [SM=x629185]
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