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Sartre, l'essere e il nulla

Ultimo Aggiornamento: 22/10/2006 23:58
22/10/2006 21:14
 
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gran maestro
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tratto da www.filosofico.net

Il discorso è sull'essere. Ma, per portarlo avanti, dice Sartre, bisogna distinguere il "fenomeno d'essere" dall'"essere del fenomeno". Secondo la fenomenologia, gli enti "si manifestano" a me che "li intenziono"; dunque, l'ente si fa fenomeno per me; pertanto bisogna distinguere la manifestazione in quanto tale, che è il "fenomeno d'essere", e ciò da cui il fenomeno scaturisce, ossia l'"essere del fenomeno". Il "fenomeno d'essere" pertanto rimanda sempre all'"essere del fenomeno", come alla sua condizione, come al suo fondamento.

La conseguenza fondamentale che deriva... è questa: essendo l'uomo condannato ad esser libero, egli porta sulle sue spalle il peso del mondo intero, l'uomo è responsabile del mondo e di se stesso quanto al modo di essere. Usiamo qui il termine "responsabilità" nel suo significato corrente di "coscienza (d')esser l'autore incontestabile di un evento o d'un oggetto". In questo senso la responsabilità del per-sé è opprimente; egli è infatti colui per cui accade che "ci sia" un mondo. E poiché è anche colui che "fa essere se stesso", qualunque sia la situazione in cui il per-sé si trovi deve assumere totalmente questa situazione col suo coefficiente di avversità. Questa responsabilità assoluta non è però accettazione; è la semplice rivendicazione logica delle implicanze della nostra libertà.
(L'essere e il nulla)


Io anzi sono sempre responsabile anche di certe situazioni o dati di fatto indipendenti dalla mia volontà; ne sono responsabile come se li avessi scelti, in virtú dell'atteggiamento che assumo di fronte ad essi. Se sono mobilitato in guerra, questa guerra è la mia guerra; certo non l'ho scelta io; ma tuttavia non mi sono sottratto ad essa, ad esempio con la diserzione; dunque, in qualche modo l'ho scelta e ne sono responsabile. Oppure: io non ho scelto di nascere, tuttavia mi atteggio sempre in qualche modo di fronte alla mia nascita; essa non mi è indifferente: posso vergognarmene, ad esempio, o esserne fiero; dunque io assumo in me la mia nascita essa esiste per me nel modo in cui la "vivo" ora; pertanto l'ho scelta.

Gli oggetti che costituiscono il mondo sono dunque in-sé. Essi mi sono "trascendenti". In sé non hanno significato, né carattere né proprietà. Ne acquistano quando diventano "per me", quando si presentano come "fenomeno" alla mia coscienza. È per la mia coscienza ch'essi acquistano un senso, un'intelligibilità; per essa vengono all'esistenza. E il loro "esser per me" si risolve nell'essere "miei utensili", strumenti del mio progetto esistenziale, delle mie scelte, della mia libertà. Utensili senza una funzione propria, specifica; infatti possono assumere molteplici funzioni proprio in relazione al mio progetto.

Il che significa che il mondo assume significati diversi in relazione alla nostra specifica situazione, ai programmi che ci proponiamo. Noi scegliamo il mondo - non nel suo contesto in sé, ma ne suo significato - scegliendo noi stessi. Esso "dipende" da noi.

Trascendenti la mia coscienza sono anche "gli altri". Sono, certo miei simili, dotati di coscienza come me; ma in quanto "in-sé" sono radicalmente estranei a me, sono "oggetti" come le cose. Anch'essi acquistano un senso e un'esistenza per me quando entrano nei miei progetti. Ma il loro entrare nei miei progetti non è uguale a quello degli utensili. Essi sono, come me, dei "per-sé", hanno un mondo relativo ai loro progetti, che non coincide con il mio mondo. Anzi, in virtú dei loro progetti, io, per loro, sono mezzo, esisto in virtú del loro conferirmi un ruolo, un senso.

Dunque, tra "me" e "gli altri" non è possibile altro rapporto che quello conflittuale. Per esistere essi "mi negano" come "in-sé"; per attuare la loro libertà essi negano lo stesso mio mondo; "sottraggono", insomma, a me il mio mondo e me stesso; gli oggetti non sono piú miei, perché entrati nel progetto e nella valutazione dell'altro; io non sono piú io, perché l'altro mi giudica trattandomi come un in-sé, e mi utilizza per i suoi scopi, per i suoi valori e per le sue scelte.

L'altro, anche solo guardandomi, spossessa me di me stesso, si appropria di me, mi rende "oggetto" per sé. Io non sono piú un "per-sé" ma una "cosa" tra le altre, "parte" del mondo dell'altro. L'esistenza dell'altro dunque "mi colpisce in pieno cuore", mi crea il "malessere", mi getta nella "vergogna" di esser "caduto" al ruolo di "cosa utilizzabile", mi produce quel senso di instabilità che dipende sia dal fatto che so che io esisto per l'altro perché l'altro mi fa esistere (sia pure come cosa), sia perché so che l'altro "mi mette in pericolo", col suo "dominio" su di me.

Ciò caratterizza ogni specie di rapporto. Anche quello d'amore, che altro non è se non volontà di dominio, di conquista, di possesso dell'altro. Ma - e qui sta la specificità dell'amore - non di possederlo come "cosa", ma come "soggetto"; di possederne la libertà, cioè il suo stesso esistere. E infatti chi ama aspira a dissolvere il "tu" dell'amato nel proprio "io"; ma non totalmente, perché ciò comporterebbe la solitudine, e quindi la fine dell'amore; perciò l'amante vuole essere amato, vuole che l'altro conservi in qualche misura quella libertà per la quale egli esiste e con la quale attui quel progetto di impossessamento dell'altro analogo al suo.



22/10/2006 21:32
 
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art friend
imbrattatele
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Sartre dà anche una definizione della coscienza non solo in senso negativo, ma anche percepita come mancanza...
"La coscienza, il per-sé, è un continuo desiderare ciò che manca, un desiderio di completamento, un desiderio di rispecchiarci nella realtà oggettiva dell'in-sé e di viverne la stessa pienezza contingente, la quale mai potrà realizzarsi, relativamente alla coscienza....."
una grande verità...il nostro essere imperfetti..il nostro avere un'inizio ed una fine incerti....siamo dei proiettili in corsa verso il nulla...
22/10/2006 21:48
 
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gran maestro
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la coscienza, come essere, introduce il nulla nell'essere in generale

l'uomo è coscienza, trascendimento continuo di sé; la sua esistenza consiste in questo trascendersi continuo; egli non "è" qualcosa, ma "diviene" sempre;

nella sua vita non esplicita un'essenza prefissata, ma la costruisce via via

ma la costruzione dell'essenza nn esiste come sola filosofia, esistono le soggettività percepite, le situazioni ke modificano l'"in sè" fondendolo con il "per sè"

l'essere muta, anke il mio, e il mio mutare stravolge l'essere precedente, molto poco filosofamente, trasformando anke il mio "per sè" in in un bisogno di ricerca sul giusto concetto di essere per gli altri restando essere per sè stessi

un addio ricevuto ha scatenato un rivoluzionare concetti creduti statici nel loro evolversi, costruendo nuove visioni dell'"in sè" nei confronti della vita altrui

e così il chicom filosofeggia con la vita, cercando i giusti equilibri del suo essere

22/10/2006 23:07
 
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imbrattatele
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Re:

Scritto da: chicom 22/10/2006 21.48

la coscienza, come essere, introduce il nulla nell'essere in generale

l'uomo è coscienza, trascendimento continuo di sé; la sua esistenza consiste in questo trascendersi continuo; egli non "è" qualcosa, ma "diviene" sempre;

nella sua vita non esplicita un'essenza prefissata, ma la costruisce via via

ma la costruzione dell'essenza nn esiste come sola filosofia, esistono le soggettività percepite, le situazioni ke modificano l'"in sè" fondendolo con il "per sè"

l'essere muta, anke il mio, e il mio mutare stravolge l'essere precedente, molto poco filosofamente, trasformando anke il mio "per sè" in in un bisogno di ricerca sul giusto concetto di essere per gli altri restando essere per sè stessi

un addio ricevuto ha scatenato un rivoluzionare concetti creduti statici nel loro evolversi, costruendo nuove visioni dell'"in sè" nei confronti della vita altrui

e così il chicom filosofeggia con la vita, cercando i giusti equilibri del suo essere




Divenire...è vero la nostra esistenza è soggetta ad un continuo movimento..mutiamo nel breve istante di un respiro....
Ma mi piace considerarci delle particelle impazzite in balìa dell'imprevisto...interagiamo con quello che ci circonda....non sempre razionalizzando le nostre azioni...a volte solo per puro caso...
Il panta rei di Eraclito...tutto scorre....nessuno scende due volte lungo lo stesso fiume...non lo so..e allora quando commettiamo lo stesso errore per ben due volte...a cosa è servito lì il panta rei...c'era forse un sasso a bloccare il corso dell'acqua di quel fiume???
Quell'addio di cui parli ha ridimensionato il tuo concetto di certezza...non tutto è per sempre...l'ho imparato a mie spese, come tutti noi in fondo, chi per una cosa, chi per un'altra...
l'importante è non fossilizzarsi su quel momento....in questo senso lasciati liberamente fluire come quel fiume...così potrai riacquistare un nuovo equilibrio...siamo dei grandi equilibristi su di un filo immaginario..la nostra vita...
22/10/2006 23:58
 
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gran maestro
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il fiume della vita

panta rei, già, tanti usano questa espressione greca per indicare il consumarsi delle cose, il trascorrere implacabile del tempo ke logora il presente e realizza il futuro

dai primi capelli bianki visti allo spekkio alla coniscenza dello scorrere del proprio futuro

ma come dici tu l'importante è nn fossilizzarsi a guardare il fiume scorrere, e di sicuro io nn sono un guardone [SM=g27824]

e tanto per restare in argomento tiriamo in acqua anke il caro efeso, ke cavolo diceva, ah, sì, ke mentre noi ci bagniamo in un fiume quello è sempre lo stesso, e anke noi continuiamo a mantenere la nostra identità

ma al tempo stesso sempre diverse sono le acque nel loro scorrere, come sempre nuovi siamo noi in ogni istante del tempo

tutto sta ad essere nn solo nuovi, ma anke più coscienti dell'acqua ke ci circonda

uè, va di filosofeggio stasera [SM=g27822]

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