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I Siciliani e la mafia

Ultimo Aggiornamento: 26/11/2006 22:33
26/11/2006 13:26
 
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PREFAZIONE
Questo post è dedicato a Marika e a tutti coloro che pensano che la Sicilia e’ terra incontrastata di Mafia e pertanto l’equazione Siciliani=Mafiosi sia già un fatto scontato.
Scrivo questo perché una sera , incontratomi con Marika, in chat ella ebbe a definire che i siciliani sono gente mafiosa.
Chi vi scrive è un siciliano nato in Palermo e che ha visto questa sua terra soffrire ,ha visto i servitori dello Stato cadere sotto la crudeltà di persone senza onore e senza dignità. Questa organizzazione criminale,chiamata MAFIA non ha pietà di nessuno ed io ritengo che la si debba estirpare sin dalle sue radici.ma per poterlo fare credo sia necessario che gli uomini politici che ci governano non pensino alle loro beghe personali o interessi privati ma che i cittadini e le Istituzioni siano un qualcosa che nessuno puo' essere al disopra. Penso che debba sin dalle scuole insegnato una cultura dell’antimafia, in poche parole deve cambiare la mentalità del cittadino sia che esso abiti in Bolzano o all’estrema isola del mediterraneo. Ma nessuno può parlare di Mafia se non si conosce la storia della Sicilia perché altrimenti si darebbe un giudizio superficiale e si licenzierebbero i siciliani con la frase “VOI SIETE MAFIOSI”


La parola mafia deriverebbe dall’arabo ma-Hias, cioè spavalderia


RIFLESSIONI

LA SICILIA è da sempre un microcosmo: un mondo composito nel quale popoli di razza, religione e lingua diversa si sono scontrati ed incontrati, lasciando nell'isola una stratificazione di presenze quanto mai significative
Il ritorno della Sicilia all'Occidente si ebbe con i Normanni, con quegli avventurieri che calati nell'Italia meridionale bizantina, si erano a poco a poco impadroniti della Puglia, della Basilicata, della Campania e della Calabria .
L'età normanna in Sicilia significò un irripetibile momento magico, per le conquiste e per le creazioni artistiche e letterarie.
Il declino del regno normanno aprì le porte alle aspirazioni imperiali degli Svevi
E da questi successivamente alla dominazione degli Angioini per poi passare alla dominazione sotto I Borboni..
Il 1860 fu l’anno in cui la popolazione di Sicilia, a maggioranza del 99,5% si pronunciò a favore di una nazione italiana unificata sotto la guida di Vittorio Emanuele II nel referendum indetto in ottobre da Garibaldi. Questo suffraggio universale è molto discusso; tra l'altro la percentuale del 99,5% viene messa in dubbio da qualunque moderno storico e studioso di statistica
Il periodo rappresentava, soprattutto presso le classi piu’ povere, i braccianti e i contadini, la ripresa della speranza; l’entusiamo era grande, affamati dalla nobiltà e taglieggiati dai gabellotti, ritennero imminente la distribuzione delle terre dei latifondi e dei feudi della chiesa; ma i piu’ si ritennero ingannati quando si resero conto che invece non ci sarebbe stata alcuna autonomia di governo regionale.
Il Conte Camillo Benso di Cavour, che aveva fretta di concludere, scavalcando Garibaldi e le sue promesse, impose le leggi piemontesi alla regione che, di fatto, risultò annessa al regno di Piemonte. Venne ignorato del tutto che la Sicilia godeva già di leggi proprie e di una certa autonomia sotto il regno dei Borboni e che lo stesso Garibaldi premeva perché fossero mantenute le sue promesse. Tutto ciò provocò in poche settimane il passaggio dall’entusiasmo ad una vera e propria forma di ostilità per tutto ciò che sapeva di “piemontese”. Non fu certo una buona mossa neanche quella di inviare funzionari e amministratori del nord in Sicilia con la motivazione che c’era troppa corruzione e clientelismo. Era troppo diverso il loro modo di pensare e questo aggravava le incomprensioni, mentre cresceva l’ostruzionismo verso l’Italia in analoga maniera a quel che c’era stato nei confronti di Napoli.
La distribuzione delle terre, promessa da Giuseppe Garibaldi, non era avvenuta, le tasse si erano aggravate, senza tener conto dell’estrema povertà degli isolani e soprattutto era stata imposta con durezza la coscrizione obbligatoria. In un mondo contadino in cui il numero di braccia era quello che faceva la quantità di raccolto, il toglierne per il lungo servizio militare riduceva molte famiglie alla disperazione. Il fatto era aggravato dalla mentalità locale che vedeva come disonorevole per la donna lavorare i campi o fare la spesa. Togliere il giovane figlio maschio dalla casa equivaleva a creare un ulteriore dramma; inoltre i renitenti e i disertori dandosi alla macchia, bollati come banditi, finivano con l’ingrossare le fila della malavita.
La "nuova" organizzazione amministrativa della regione, spezzettata in piccole province, e la creazione di ben quattro organismi di polizia, unita al dilagare della corruzione tra gli stessi funzionari finirono col favorire gli intrallazzi, i taglieggiamenti e le guerre tra bande. E’ in questo periodo che compare in maniera evidente il termine mafia; nel 1863 ottiene un grande sucesso una commedia dal titolo “I mafiusi di la Vicaria” ambientata nella prigione di Palermo. La mafia esisteva già da tempo ma è ora che si “ufficializza” come mezzo di potere dei proprietari terrieri per domare i lavoratori o come sistema dei gabellotti per intimidire gli stessi proprietari, e diventa piano piano anche il mezzo mediante il quale le autorità impotenti a governare il territorio tengono a freno ogni velleità di rivolta. Anche il politico inizia a capire che gli conviene fare patti di mutuo interesse con il mafioso locale. Questi amministra la sua giustizia, anche sommaria, risolvendo problemi che l’amministrazione venuta dal nord non riesce neanche ad inquadrare, sopperisce, col suo paternalismo interessato, a risolvere problemi che lo stato invece accentua e agli occhi del “povero siculo” risulta quindi piu’ efficiente e “giusto”. E' forse questa l'origine della sfiducia verso lo stato, che appare lontano e vessatorio. I notabili locali e le vecchie classi dirigenti si adattarono presto alle nuove regole, divennero presto convinti fautori, per proprio tornaconto, dell’annessione al regno piemontese, proprio per mantenere i vecchi privilegi. Perfino la tardiva distribuzione delle terre del latifondo e dei feudi ecclesiastici, iniziata nel 1861, a gente troppo misera, che finiva con l’indebitarsi per acquistare le sementi ed era costretta a svendere le terre stesse per debiti, sortì solo l’effetto di riformare i latifondi con nuovi proprietari ed acquirenti e, per giunta, a prezzi stracciati. Il romanzo “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa, "I Viceré" di Federico de Roberto e i romanzi di Giovanni Verga illustrano bene tutto ciò.
Di lì a qualche anno, nel 1863, la Sicilia si trovò sotto la legge marziale del generale Govone e con la facoltà di fucilare la gente sul posto. Venne preferita infatti la repressione sommaria e dura, arrestando la gente senza processo ed usando anche la tortura per vincere l’omertà. Le repressioni non colpivano selettivamente ma anche la semplice renitenza alla leva provocava durissime ritorsioni contro la popolazione di interi villaggi che veniveno privati dell'acqua potabile. Scrive il Correnti nella sua Storia della Sicilia che ad un giovane sarto palermitano, Antonio Cappello, sordomuto dalla nascita, vennero inferte 154 bruciature con ferri roventi perché ritenuto simulatore dagli ufficiali piemontesi della visita di leva. Alla fine del periodo si contavano oltre 2500 morti e la condanna di quasi tremila banditi. Ciò che di fatto mancava alla Sicilia allora come nel passato era una classe borghese colta e “illuminata” che sapesse cogliere le occasioni migliori; al suo posto invece permaneva quella aristocrazia sonnolenta e sfruttatrice che viveva sperperando le rendite del latifondo in cui torme di poveri, ignoranti e sfruttati, contadini vivevano al limite basso della miseria. Non c’era stata in Sicilia alcuna rivoluzione francese a cambiare le cose e l’Inquisizione era stata abolita solo mezzo secolo prima.
Dopo la delusione per l'annessione della Sicilia, anziché di una autonomia federalista, come si sperava, fu ulteriore occasione di malcontento, nel 1862, il fatto che all’Aspromonte, Garibaldi, che in Sicilia aveva reclutato i volontari, fu affrontato e ferito, proprio perché a sparare furono i “piemontesi”; un’ulteriore aggravamento di ostilità verso “lo stato” lo alimentava l'atteggiamento della Chiesa che scomunicava coloro che acquistavano le terre confiscatele e la gestione spesso scandalosa e corrotta delle procedure di vendita. Nel 1866, nel corso della guerra di secessione, scoppiò a Palermo un’altra rivolta proprio in conseguenza di tali vendite irregolari che avevano fruttato oltre 600 milioni di lire servite, come annunciò pubblicamente il 16 marzo 1876 il primo Ministro Marco Minghetti a pareggiare il bilancio dello Stato. Le proprietà ecclesiastiche vendute davano lavoro a migliaia di contadini, che così persero la loro unica fonte di reddito. La rivolta venne sedata dalle truppe del generale Raffaele Cadorna, con i soliti mezzi sbrigativi. Scriveva Garibaldi nel 1868 ad Adelaide Cairoli "... non rifarei la via del sud, temendo di essere preso a sassate..", egli aveva promessa la terra ai contadini ma quanto promesso non era poi stato mantenuto.

A differenza di ciò che si crede i Borboni non erano stati dei retrogradi sfruttatori; non bisogna dimenticare che la prima ferrovia in Italia, la Napoli-Portici, era nata sotto il loro regno, che la prima città illuminata a gas in Italia (e una tra le prime in Europa) era stata Napoli e che i cantieri navali di Palermo erano già allora in produzione

Con l'Unità d’Italia e le politiche liberiste del nuovo Regno entrarono in crisi i principali settori industriali delle regioni meridionali, perché persero i mercati nazionali tradizionali e non poterono reggere alla concorrenza inglese e francese.
Il Regno delle due Sicilie non aveva un elevato debito debito pubblico al momento della sua caduta, il Regno di Sardegna ne aveva uno molto elevato anche a causa delle guerre sostenute contro gli austriaci. In seguito all'Unità venne unificato il debito pubblico.facendo gravare anche sui contribuenti meridionali gli investimenti effettuati in Piemonte nel corso degli anni '50 del secolo. I fondi del Banco delle Due Sicilie, che era la Banca nazionale del regno borbonico, (443 milioni di Lire-oro, all'epoca corrispondenti al 65,7 del patrimonio di tutti gli Stati italiani messi insieme) vennero incamerati dal nuovo Stato italiano concorrendo a costituire il capitale liquido nazionale nella misura di 668 milioni di Lire-oro. L'istituto fu poi scisso in Banco di Napoli e Banco di Sicilia, partendo con evidente perdita iniziale di competitività nei confronti delle imprese bancarie nazionali

La fiscalità, divenuta più gravosa rispetto a quella borbonica, finiva così col finanziare gli investimenti al nord.
Sulle spalle dei siciliani abituati all'unica tassa sul reddito borbonica che copriva tutte le spese pubbliche anche locali, si venivano a caricare le nuove tasse comunali,le nuove tasse provinciali, il focatico ( che essendo una tassa di famiglia colpiva duramente le famiglie numerose), la tassa sul macinato ( che affamava proprio i piu' poveri che, cercando di macinare il proprio esiguo raccolto, incorrevano nella famelica imposta), la nuova tassa di successione ed altre cosiddette addizionali .
Il nuovo stato, peraltro, era ancor piu' restio dei Borboni ad investire in Sicilia Sicilia. Mentre nel resto d'Italia si moltiplicavano le linee ferroviarie la Sicilia ebbe la sua prima, brevissima, Palermo-Bagheria solo nel 1863.
Tutto ciò mentre sul totale di lire 111.569.846 (di allora) di debito pubblico dello stato il Piemonte concorresse per 61.615.000 lire e la Sicilia solo per 6.800.000

Con la politica del libero scambio venne disincentivata la produzione della seta siciliana e del tessile locale, troppo frammentati, a vantaggio della grossa impresa del nord e così avvenne anche per la locale industria alimentare anch’essa troppo parcellizzata; perfino i settori dell’industria pesante decaddero per mancanza di commesse e fondi.

La Sicilia cadde in profonda recessione e lo Stato Italiano , con i Savoia avevano annesso una regione (oggi) ieri un territorio per soli scopi d’interesse senza curarsi ne’ dei cittadini ne’ del territorio, era in poche parole una risorsa dove attingere acqua per le regioni per le imprese del nord che stavano appena nascendo.
Da qui nacque L'Esercito Volontario per l'Indipendenza della Sicilia (EVIS), comandato da Antonio Canepa (esponente comunista, conosciuto con lo pseudonimo Mario Turri), ebbe vita nell'aprile del 1945 come vera e propria formazione armata separatista nel solco dell'esperienza del Movimento Indipendentista Siciliano. L'EVIS si prefiggeva da un lato il sabotaggio del governo italiano con azioni di contrasto, dall’altro di imprimere al processo indipendentista siciliano una soluzione repubblicana anziché una monarchica.
Con l'uccisione di Antonio Canepa, avvenuta in contrada Murazzu Ruttu vicino Randazzo (CT) insieme ad altri due militanti in un conflitto a fuoco con i carabinieri il 17 giugno del 1945 l'EVIS sembra essere ormai sciolto.

Su decisione dei rappresentanti della destra separatista palermitana, avvenne l'alleanza con i banditi di Salvatore Giuliano, che ne divenne così colonnello. Cambiò quindi la lotta: si misero in atto azioni terroristiche contro i carabinieri e l’esercito, inizialmente, quindi le attività furono rivolte anche contro i partiti di sinistra.
Nella primavera del 1946, avvenne l'accordo con lo stato italiano, che pose fine alla guerriglia separatista. Venne concessa l'autonomia speciale alla Sicilia e sciolto l'esercito separatista. Giuliano invece rifiutò di deporre le armi e continuò con la sua banda la lotta.
Portella della Ginestra è una località in provincia di Palermo, situata nei pressi della Piana degli Albanesi. È nota per essere stata teatro della strage del 1° maggio 1947.
In quel giorno dell'immediato dopoguerra si tornava a festeggiare la festa dei lavoratori, abolita durante il regime fascista.
Circa 2000 lavoratori della zona di Piana degli Albanesi, in prevalenza contadini, si riunirono nella vallata di Portella della Ginestra, nei pressi di Palermo, per manifestare contro il latifondismo, a favore dell'occupazione delle terre incolte e per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni per l'Assemblea Regionale.
Su questa folla in festa partitono, dalle colline circostanti, delle raffiche di mitra che lasciarono sul terreno 11 morti (9 adulti e 2 bambini). Solo quattro mesi dopo si seppe che a sparare materialmente furono gli uomini del bandito Salvatore Giuliano. Non fu mai fatta luce sui reali mandanti della strage, anche se il rapporto dei carabinieri faceva chiaramente riferimento ad "elementi reazionari in combutta con i mafiosi locali".
Non fu mai possibile dimostrare la veridicità di questo scenario perché Giuliano fu ucciso dal suo luogotenente Gaspare Pisciotta nel 1950 e lo stesso Pisciotta fu avvelenato in carcere nel 1954 dopo aver preannunciato rivelazioni sulla strage.
La mafia nasce, cioè concettualmente si forma in Sicilia, una grande isola per tremila anni violentata da decine di invasioni diverse e che, nonostante guerre, rivolte, ribellioni, splendori e grandezze, battaglie e rivoluzioni tutte tese a conquistare una dignità di nazione, non è mai praticamente riuscita a essere uno Stato. Lo Stato erano gli altri. Lo Stato erano i conquistatori. Lo Stato che amministra, garantisce, impone, costruisce, preleva, insegna, percepisce, fa le leggi, esercita giustizia, questo Stato erano gli altri, cioè i nemici. Per tremila anni lo Stato in Sicilia è stato nemico, cioè una entità quasi sempre assente e che si appalesava soltanto per infliggere danno. il bluff delle grandi opere pubbliche mai realizzate, la collusione sempre più spavalda fra vertici di violenza e rappresentanti politici che hanno saccheggiato, diviso, lottizzato, devastato, spartito potere ed economia, e infine la crisi paurosa della giustizia (Scaglione, Terranova, Costa, Ciaccio Montalto, quattro alti magistrati impunemente uccisi) ha dato una certezza drammatica a questa sensazione che lo Stato fosse assente, cioè a questa solitudine del siciliano. Siamo dinnanzi a un dato storico e culturale terribile che tuttavia bisogna riconoscere e ammettere perfettamente. Il contrario sarebbe solo lamentazione imbecille e retorica.
La mafia è Stato ed ha le sue colonie a Roma, Milano, Torino, Napoli , Marsiglia, New York, Chicago. La camorra è dentro lo Stato di Napoli dovunque esso si estenda. La mafia governa migliaia di miliardi, le banche, la droga, i grandi sequestri criminali, gli appalti nazionali, probabilmente la elezione di taluni parlamentari, talvolta persino la designazione di uomini di governo; la camorra lotta ancora e si massacra per il pullulare delle estorsioni, anche le più miserabili, il contrabbando delle sigarette, le tangenti sulla prostituzione. La mafia uccide soltanto chi gli si para dinnanzi, la camorra fa soprattutto strage di se stessa per la spartizione del bottino.
Se cinque milioni di siciliani si ribellassero alla mafia, non accadrebbe niente. Alla mafia non gliene fotte. Ha un solo nemico che può batterla: lo Stato vero, lo Stato di diritto, con i magistrati che fanno veramente giustizia, funzionari incorruttibili, politici disposti a interpretare con assoluta moralità il loro mandato. Se tre milioni di napoletani si ribellassero alla camorra, la camorra sarebbe morta. Stiamo parlando di ipotesi di fantascienza, ma esse spiegano perfettamente una differenza storica, sociale, politica, umana, criminale, psicologica e in definitiva perciò culturale, poiché ogni cosa accade dentro una società umana, nel bene e nel male, nell'arte o nella violenza, nella filosofia o nell'omicidio, appartiene sempre alla cultura di un popolo.
Essendo dunque diverse le origini dei due fenomeni, mafia e camorra, pur quasi identiche nell'immagine, debbono essere diverse le valutazioni della lotta e gli strumenti, soprattutto politici e sociali. Noi sappiamo chi sono i mafiosi. Noi - tutti noi siciliani, intendiamo - sappiamo benissimo chi sono i mafiosi. Ci mancano i particolari, le circostanze, le prove. Ma i nomi, quelli li sappiamo. Sappiamo perché certe notizie filtrano e certe altre no. Sappiamo perché sono morti Chinnici e gli altri.
Noi siciliani, fra le altre cose, sappiamo che Chinnici stava per arrestare i fratelli Salvo. Poi la Democrazia Cristiana. Da questo patto la mafia traeva guadagni nella gestione, data grazie ad appalti truccati, dello sviluppo edilizio di infrastrutture e di nuovi quartieri delle maggiori città, della riscossione delle tasse per conto dello stato, dell'assunzione di personale per gli enti statali e in più poteva godere della più totale immunità. La DC come partito ci guadagnava perché Cosa Nostra, per via del controllo sul territorio, era in grado di indirizzare grandi quantità di voti dove voleva, i politici della DC come singoli invece ci guadagnavano in quanto venivano corrotti con grandi somme di denaro.
Sono gli anni del sacco di Palermo, gli anni in cui Salvo Lima era sindaco e Vito Ciancimino assessore ai lavori pubblici. In 4 anni vennero concesse 4205 licenze edilizie, di cui 3011 intestate alla stesse 5 persone, dei muratori che risultavano nullatenenti e che si è poi scoperto essere dei prestanome. In questi anni vennero rase al suolo le splendide ville liberty del centro della città per essere sostituite con palazzi giganteschi. La stessa sorte toccò alle periferie e a molte zone verdi. Tutto questo avvenne anche grazie alla compiacenza di alcuni grandi istituti di credito siciliani che finanziavano imprenditori mafiosi a scapito di quelli onesti. Sembrano passati secoli da quegli anni, in realtà sono passate solo poche dozzine di mesi, ma il panorama Siciliano sembra essere brutalmente cambiato. Anche se "Cosa Nostra" non è più visibile come una volta questo non significa che essa sia scomparsa, infatti ha preferito allontanarsi dal clamore per continuare ad agire più efficacemente sottotraccia (strategia dell'inabissamento). Questo non significa che la mafia sia meno pericolosa, essa continua infatti ad avere contatti (poiché "crocianamente" si potrebbe dire che per la sua stessa strutturazione non potrebbe non continuare ad averne) con il mondo politico e la societa’ del nord (vedi Banda della Magliana). Senza più il sostegno della società civile anche le attività di indagine delle forze dell'ordine e della magistratura non producono rilevanti risultati, come se Cosa Nostra fosse stata finalmente debellata Gli "uomini d'onore" non sono né diabolici, né schizofrenici. Non ucciderebero per qualche grammo di eroina. Sono uomini come noi. La tendenza del mondo occidentale europeo in paricolare é quello di esorcizzare il male proiettandolo su etnie e su comportamenti che ci appaiono diversi dai nostri.
Ma se vogliamo combattere la Mafia non dobbiamo trasformarla in un mostro: dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia in qualche modo. A nostro modo siamo tutti un po´ mafiosi, se non cambiamo la nostra mentalitá la Mafia come organizzazione continuerá sempre a sussistere, perché esisterá qualcuno che prenderá il posto di chi ormai non ha piú potere. Si puó avere una mentalitá mafiosa senza tuttavia essere un criminale.
Quanto alla doppia morale, é un retaggio della storia, dei tempi in cui la Sicilia doveva difendersi dal mondo esterno, inventandosi un modo di essere che permettesse di resistere all'occupante e di sopravvivere.
Gli invasori qui, in Sicilia, sono arrivati da ogni dove e ogni volta i Siciliani si sono dovuti adattare, o almeno far finta di adattarsi, in attesa che andassero via. Alla fine se ne sono andati lasciando un temperamento fatto di apparente sottomissione e di fedeltá alle tradizioni, unite a un orgoglio delirante.
Un motivo per tirare fuori delle risorse sempre a discapito delle regioni piu’ povere e con meno possibilità di recupero e’ stata la legge 3 aprile 1979 n. 95, chiamata anche Legge Prodi, dal nome del suo promotore, come ministro dell'Industria, Romano Prodi, è una normativa per la regolamentazione della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
La legge nacque in un periodo di difficoltà per molte aziende italiane, volta ad evitare una possibile catena di fallimenti che avrebbe condizionato l'economia del paese, prevedendo una nuova procedura in sostituzione di quella di fallimento, con quindi la possibilità di continuare l'esercizio dell'impresa.
I soggetti che rientravano nell'ambito della normativa sono state le imprese commerciali che abbiano avuto per almeno un anno un numero di dipendenti superiore a trecento (ai sensi del D.L.L. 9 novembre 1945 n. 788 e successive integrazioni e modificazioni), che si trovino in stato di insolvenza, con mancato pagamento di tre mensilità, con una determinata esposizione debitoria (v. D.M. 26 aprile 1983 e l'art. 4 della L. 19 dicembre 1983 n.696).
Venne abrogata nel 1999, con l'intervento dello stesso Prodi che ha seguito le modifiche al governo come presidente del Consiglio dei ministri, su sollecitazione europea per rispetto del principio concorrenziale di non assistenza statale alle imprese, con l'approvazione del D. Lgs. n. 270.
Si favorivano grandi industrie in difficoltà a volte perché si avevano distratto ingenti somme di denaro verso paesi o perché avevano fatto una politica economica bizzarra e tutto questo a danno delle regioni del sud o di quelle regioni dove la grande industria era assente





Come tutte le organizzazioni criminali anche la mafia attecchisce dove lo Stato è assente o latitante. "Si muore generalmente perché si é soli o perché si é entrati in un gioco troppo grande. Si muore perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si é privi di sostegno.
In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non é riuscito a proteggere".
(Giovanni Falcone)

[Modificato da =diabolick= 26/11/2006 13.32]

26/11/2006 19:08
 
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Scritto da: =diabolick= 26/11/2006 13.26

PREFAZIONE
Questo post è dedicato a Marika e a tutti coloro che pensano che la Sicilia e’ terra incontrastata di Mafia e pertanto l’equazione Siciliani=Mafiosi sia già un fatto scontato.
Scrivo questo perché una sera , incontratomi con Marika, in chat ella ebbe a definire che i siciliani sono gente mafiosa.

[Modificato da =diabolick= 26/11/2006 13.32]




Io nn ho detto a diabolo che "tutti" i siciliani sono mafiosi, ho solo detto che è indiscutibile che in Sicilia ci sia la mafia e quello che ne consegue.

[SM=x629172]



Marika :)
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