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Andy Warhol a Padova

Ultimo Aggiornamento: 11/06/2007 16:14
29/12/2006 19:16
 
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Andy Warhol
Padova, Vecchiato New Art Gallery

Dopo il notevole successo conseguito attraverso la mostra sugli artisti cinesi e il recente tributo al Nouveau Réalisme, la Vecchiato New Art Galleries torna alla ribalta per riproporre, sull’onda della visibilità internazionale, un’operazione mass-mediatica degna di un artista portavoce della società dell’immagine contemporanea: Andy Warhol.

Già nel 1995 la galleria di piazzetta San Nicolò aveva presentato un’interessante personale sull’artista e ora, a distanza di 10 anni, ne ripropone l’universo sfaccettato e a tratti paradossale, sospeso tra provocazione e superficialità.

La mostra Andy Warhol. The Bomb, a cura di Gianluca Ranzi e Doris Von Drathen, propone un'accurata selezione di trenta opere, rigorosamente autenticate dalla Fondazione Andy Warhol, tra serigrafie e ritratti, oltre ai celebri film underground. Il percorso ripercorre i momenti salienti dell’intero arco dell’attività artistica di Warhol, dagli anni sessanta fino agli anni ottanta.

Icona per eccellenza dei tempi moderni, Warhol è l’esponente più efficace di una dilagante e alquanto sfacciata immagine della cultura di massa, plagiata dal simbolo del dollaro, corrosa dai detersivi in scatola, che mastica slangs e zuppe preparate, tassativamente combinati al frizzante gusto della Coca-Cola, o ancora, colta mentre si stupisce per l’ennesima vittima dei crash automobilistici piuttosto che della guerra, o ripresa nel trasalimento di fronte alla pena di morte.

A tal proposito compaiono le note opere serigrafiche, celebri "icone da supermarket", evocative delle manovre strategiche presenti nei temi pubblicitari di successo, come Campbell's soup can shopping bag (tecnica mista), Velvet underground (serigrafia, pochette del disco Andy Warhol’s Velvet Underground feauturing Nico) o il feticcio americano per eccellenza, il celebre Dollar Bill (serigrafia su tela), geroglifico contemporaneo del very politically correct.

La genialità intuitiva di Warhol è stata quella di costruire in maniera abilmente attenta una nuova identità attorno al concetto di artista, da intendersi quale macchina di produzione seriale, che ripete all’infinito tale operazione, senza poi chiedersene il motivo. In merito risuona calzante una sua questione: "non è forse la vita una serie di immagini che cambiano solo nel modo di ripetersi?". E ancora: "la ripetizione aumenta la reputazione".

Dalla prima serie di scatolette Campbell all'adozione della serigrafia, il passo è stato davvero breve, intercalato dall’ulteriore riflessione (ironica) sul ruolo della creatività nell'era della sua riproducibilità tecnica. Su suggerimento del suo assistente, egli adotta tale tecnica dopo svariati tentativi di "meccanizzazione" del suo modo di operare (mediante l'utilizzo di proiettori, timbri in gomma o legno, ecc). I primi dipinti serigrafati appartengono alla serie in cui l'artista utilizza la stampa per moltiplicare all'infinito un'immagine di partenza, disegnata a mano. Prendendo spunto da un'invenzione "molto americana" e decisamente "popular", ricondotta nell'ambito "alto" dell'arte, Warhol elabora in maniera sapientemente sottile una riflessione dirompente sui concetti di copia e di originale, opponendo l'omologazione alla necessaria espressività, la ripetizione all’unicità progettuale. Adottando una processualità "da catena di montaggio" (che gli consentiva di fare un quadro in quattro minuti), stimola d’altra parte il gioco con l’imprevisto, l’incidente di percorso e l’"errore" che vanifica la riproducibilità, rendendo le sue immagini seriali sempre diverse l'una dall'altra, paradossalmente originali.

A essi si aggiunge un pezzo di singolare spessore: un’inedita scultura del 1967, l'unica di grande formato realizzata dall'artista, dal titolo Bomb (modello di bomba dipinto a spray), pubblicata nel catalogo generale Andy Warhol. Paintings and Sculptures, 1964-1969, esempio calzante della viscerale vena pop associata al tridimensionale. L'opera cela un curioso aneddoto, in quanto doveva essere offerta come premio per un concorso sponsorizzato dalla rivista New York Magazine, successivamente pubblicato da The New York World- Journal Tribune. Il 22 gennaio 1967 in un articolo intitolato "Come with me bomb", Ralph Schoenstein invitava i suoi lettori a partecipare al concorso per progettare una bomba ad acqua in questi termini: "Celebriamo la fine della carenza idrica ritornando al più divertente tra tutti i giocattoli di guerra, l’unico che un uomo pacifico possa vedere cadere su Hanoi, dato che mai i civili di Ho potranno essere feriti da una doccia". Ai lettori veniva dunque offerto come primo premio una bomba U.S. Air Force, decorata personalmente da Andy Warhol. A testimoniare l’occasione, una vivace fotografia che vede l’artista abbracciare orgogliosamente il suo argenteo manufatto, pubblicata assieme all’articolo di Schoenstein.

La mostra propone inoltre una deliziosa galleria di ritratti celebri, stile copertina di Vogue, come Enzo Cucchi, Karin Klein, Rauschenbusch, Jean Pave Barbier, Joan Collins, Mildred Scheel, Karen Lerner, Nathalie Sparbe, Carlo e Diana. Si tratta dei volti celebri di quella New York mondana generatrice dell’arte pop, con tutto il relativo jet set fatto di moda, feste, frequentazioni, apparizioni. Erano i committenti stessi a fornire a Warhol le fotografie dalle quali veniva fatto il ritratto e l’intervento dell’artista veniva quindi ridotto il più possibile, come ebbe a dire Warhol stesso: "il massimo del prodotto col minimo di soggettività". Questa qualità astratta dell’immagine che rinuncia all’approfondimento psicologico è evidente nella frontalità perentoria del ritratto di Pave Barbie, nell’eleganza raffreddata di quello di Karin Klein, o nella sottigliezza della linea che disegna il volto di Jacques Bellini. Altra opera di rilievo è Joseph Beuys in memoriam: uno stimolo al confronto frontale tra i due artisti, che offre un'efficace chiave di lettura per comprendere la base ideologica che attraversa l’arte del secondo dopoguerra e le differenze che in questo periodo intercorrono tra arte americana e arte europea. Se l’uno incarna infatti la fiducia nel successo americano, Beuys palesa la crisi di coscienza che accompagna l’intellettuale europeo, derivante dal peso di una tradizione ingombrante a vantaggio del sogno americano.

Oltre al dato propriamente artistico, Warhol ha anticipato in maniera clamorosamente veloce il sistema della realtà mediatica attuale, in cui la vita diviene fiction e viceversa, che oggigiorno si fa evidenza alla luce della società dei reality e del mito dell’apparizione-tv, e che l’artista seppe rivelare mezzo secolo prima, fino a dimostrare la possibilità della costruzione di un nuovo sistema di potere basato sull’abuso della visibilità.

Alle opere in mostra infatti si aggiunge la proiezione dei suoi memorabili film underground, I a Man, My Hustler, Blow Job, Empire, Kiss, Mario Banana, The Chelsea Girl, Lonesome Cowboys, Nude restaurant, Vinyl, Vinyl / the velvet underground & Nico


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Dalle zuppe Campbell ai ritratti delle celebrità. La novità? un modellino di bomba dipinto a spray. L’ennesima mostra su Warhol è una riprova della sua massima: “la ripetizione aumenta la reputazione”…

Warhol è un artista-bomba, come sottolinea con intuito il titolo della nuova mostra della Vecchiato Art Gallery: pubblicitario e artista, pop e underground, vacuo e inimitabile. Non aveva niente da dire eppure ha scritto romanzi, girato film, fondato una Factory. Tante contraddizioni pronte a esplodere.
La mostra si accoda ad una lunghissima serie di esposizioni che, fra lattine di Coca Cola, divi, evocazioni dei Sixties, New York e Velvet Underground, hanno celebrato il talento straordinario di un Re Mida capace di trasformare in arte qualunque cosa toccasse. In questo caso vengono proposte trenta opere, selezionate con cura nel difficile tentativo di evitare l’ovvietà: invece delle ben note Marilyn, Jackie e Liz Taylor, la galleria propone il ritratto di Renée Rauschenberg, la coppia nuziale Carlo e Diana, gli amici Enzo Cucchi e Joseph Beyus, una Drag Queen e altri personaggi singolari. Colpisce il trittico dedicato a Karen Lerner, che mostra la bravura di Warhol come fotografo ritrattista, dietro all’apparente banalità della serigrafia, e la sua abilità nel variare un medesimo motivo.
La zuppa Campbell non poteva mancare. Tuttavia la vediamo stampata su una busta della spesa. Si fanno notare anche la serigrafia Mao/electric chair, un accostamento equivoco fra due motivi già equivoci, e la scultura che ha fornito il titolo all’evento: un raro modello di bomba del ’67. Warhol lo dipinse con lo spray argentato. Si dice che rimase incantato a guardarlo per una settimana, ripetendo “è così bella”.
Tuttavia, dietro al candore del nostro, l’operazione sembra suggerire un’analogia tra la bomba e le monete sonanti, a dimostrare che se Warhol non era impegnato, non era nemmeno così politically correct come spesso si dice. Bastano i suoi film a ricordarlo. Buona perciò l’iniziativa della galleria di proiettarne tre, tra novembre e dicembre: Blow Job, il primo piano di Gerard Malanga mentre riceve una fellatio, Kiss, 50 minuti di baci, e Vinyl, una messinscena amatoriale sul canovaccio di Arancia Meccanica. Ovviamente, cinque anni prima di Kubrick. Chiude la serie un catalogo ben curato, che include un saggio di Doris Von Drathen capace di mettere in luce come, dietro al cliché del vuoto, l’opera di Warhol possa offrire molto sia al significato che all’emozione. E allora? Allora peccato che, pur fondando su propositi e spunti così buoni, la mostra sia nient’altro che l’ennesima retrospettiva sul mito Andy Warhol.
È colpa della ripetizione. “La ripetizione aumenta la reputazione” affermava sarcasticamente Andy. Tuttavia lui aveva il tocco dell’artista, e la sua ripetizione era ricca di significato. Non era ripetizione della stessa frittata, ma variazione minima, similmente a quanto accadeva nella musica minimalista di quegli anni. E tra le maglie della ripetizione, il significato ne usciva enormemente amplificato, esplodeva. Nel lungo elenco di retrospettive, invece, la ripetizione corre il rischio di diventare nient’altro che un’eco.

da www exibart.com

11/06/2007 16:14
 
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caspita che lavoro... [SM=g27811]
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