Nato a Nyack, piccola cittadina sul fiume Hudson da una colta famiglia borghese americana, Hopper entra nel 1900 alla New York School of Art.
Dopo il conseguimento del diploma, Hopper ottine il suo primo impiego come illustratore pubblicitario per la C. Phillips & Company.
I viaggi all'estero
Nel 1906 si reca per la prima volta in Europa, visitando Parigi, dove sperimenterà un linguaggio formale vicino a quello degli impressionisti, e proseguendo poi, nel 1907, per Londra, Berlino e Bruxelles.
Lo stile personale ed inconfondibile, formato da precise scelte espressive, emerge e si forma nel 1909, quando decide di tornare a Parigi per sei mesi, dipingendo a Saint-Gemain e a Fontainebleau.
La sua pittura predilige un particolare e ricercato gioco di luci e ombre, la descrizione di interni, imparata da Degas e perfezionata durante il suo terzo e ultimo viaggio all’estero, a Parigi e in Spagna, nel 1910 e il tema centrale della solitudine.
Mentre in Europa prendeva piede il fauvismo, il cubismo e l’astrattismo, Hopper viene attratto per lo più da Manet, Pissarro, Monet, Sisley, Courbet, Daumier, Toulouse-Lautrec e il più antico Goya.
Il ritorno in patria
Tornato stabilmente negli Stati Uniti, che non lascerà più, Hopper abbandona le nostalgie europee che lo avevano influenzato sino a quel momento, ed inizia ad elaborare soggetti legati alla vita quotidana americana, modellando il suo stile alla vita di tutti i giorni. Tra i soggetti cui si dedica vi sono soprattutto la rappresentazione di immagini urbane di New York e delle scogliere e spiagge del vicino New England.
Nel 1918 è uno dei primi membri del Whitney Studio Club, il più vitale centro per gli artisti indipendenti dell'epoca.
Tra il 1915 ed il 1923 abbandona temporaneamente la pittura, dedicandosi a nuove forme espressive come l’incisione, eseguendo puntesecche e acqueforti, grazie alle quali otterrà numerosi premi e riconoscimenti, anche dalla prestigiosa National Academy.
Il successo
Nighhawks, probabilmente il capolavoro di HopperIl successo ottenuto con una mostra di acquerelli (1923) e con un’altra di quadri (1924) contribuiscono a fare di Hopper il caposcuola dei realisti che dipingevano la “scena americana”.
La sua evocativa vocazione artistica si rivolge sempre più verso un forte realismo, che risulta la sintesi dellla visione figurativa combinata con il sentimento struggente e poetico che Hopper percepisce nei suoi soggetti.
Predilige immagini urbane o rurali, immerse in un silenzio, in uno spazio reale ma che allo stesso tempo sembra metafisico, che comunica allo spettatore un forse senso di estraniamento del soggetto e dell'ambiente in cui è immerso, ottenuto grazie alla sapiente composizione geometrizzante della tela, al sofisticato gioco di luci, fredde, taglienti e volutamente "artificiali", e all’estrema sintesi di dettagli. La scena è quasi sempre deserta; nei suoi quadri raramente vi è più di una figura umana, e quando ve ne è più di una quello che emerge è l'estraneità dei soggetti e l'incomunicabilità che ne risulta, accentuando la solitudine.
Nel 1933 il Museum of Modern Art di New York gli dedica la prima retrospettiva, e il Whitney Museum la seconda, nel 1950.
Hopper scompare il 15 maggio 1967 nel suo studio newyorchese.
A me piace molto.
Questo che segue è il mio preferito.
Il caschetto della donna, la sua solitudine, il suo guardar fuori dalla finestra, l'edificio di fronte.....in fase di costruzione, tipico sfondo americano, il dover indovinare chi c'è lì...
Mi vengono in mente, guardando questa sedia a dondolo, invece che New York, le calde sere in Louisiana, con la matrona che siede , pigramente..., e si culla, nella tipica sonnolenza dei paesi del sud .............
O un personaggio di O'Neill.
E' ambientato in città...ma, quella donna, potrebbe essere ovunque.
Per questo mi piace.