IL GALLO NERO

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Icarius
00giovedì 15 marzo 2007 01:36
L'isola di Ventotene ha una particolarità alquanto bizzarra:se durante un forte temporale ci si pone sulle coste dell'isola d'Ischia,a nord di Napoli,essa diventa chiaramente visibile.Cosa che non accade invece se il cielo è sgombro di nubi.Di questo si discuteva a bordo della "Pindara".Quella mattina infatti,nonostante un cielo incerto,il prof Nigro aveva deciso di prendere il largo,partendo dal golfo della capitale partenopea,giungendo nel porto di Casamicciola,sull'isola d'Ischia appunto.Io ero con lui,come accade sempre più spesso da un mese a questa parte.Negli ambienti universitari meridionali,il prof Nigro è una delle massime autorità in storia tardoantica e alto medievale,tanto da essere spesso richiesto come consulente per questioni storiche e filologiche.Egli è anche un esperto ed appassionato di filologia classica e romanza.Per lui svolsi quelle ricerche ad Avignone e Cassino,riguardo ad alcuni codici cluniacensi del XII sec.
"_Vedi ragazzo mio,Ventotene una volta era un paradiso per tutti i cacciatori.Credimi se ti dico che c'è,o c'era,una varità di selvaggina che richiamava cacciatori da tutto il sud!"
Disse il prof mentre annodava,non senza difficoltà,che sfociava in un leggero imbarazzo,una cima sul ponte della barca.
"_Ma tu non puoi sapere queste cose!Tu sei un cacciatore di libri,non di animali!Anche se i primi sono più sfuggenti di qualsiasi volatile!"
Continuò,masticando il sigaro,ormai quasi spento,che aveva stretto tra i denti.Io non lo contraddicevo mai.Egli era quel tipo d'uomo che qualsiasi cosa dicesse,sapeva di verità.Di questo suo modo di fare,spesso gliene parlavo,ed egli divertito soleva rispondermi:
"_Per qualcuno questa potrebbe essere un'ottima qualità.Molto ambita dai politacanti di stampo liberale;quelli sì che devono camuffare le sciocchezze che dicono!Io invece,essendo uno storico,devo attenermi alla verità!"
Fu in quel momento che,dalla cuccetta,salì sul ponte il prof Callisti.Aveva in mano quel manuale.Era vecchio,rendendo chiaro tutto il tempo che era trascorso da quando fu compilato.Ed il giallo ocra delle sue pagine tradiva,senza resistenza,che gli anni dovevano essere davvero tanti.Al XVIII sec. grosso modo risaliva.Recava una dedica di Monsignor De Guenevef.E proprio quella ci aveva colpito più di tutto,apparte,ovvio,il contenuto del manuale.La dedica recitava così:
"Queste sono le memorie di Guisgardo degli Orafizi,servo dell'Onnipotente,leale suddito di Carlo d'Angiò,re di Napoli,Durazzo e Gerusalemme e campione guelfo del soglio di Pietro.
In questi cupi tempi,dove la Cristianità,già monca delle città sante di Costantinopoli e Gerusalemme,vede il braccio del maligno menare fendenti per mezzo di false verità.Tutto ciò in cui crediamo,legittimato per sempre dal sangue di Nostro Signore Gesu Cristo,vero Dio e vero uomo,sembra cedere e prossimo alla rovina.L'antico ordine che regge i regni e le nazioni è ora messo in discussione dal caos e dalle illusioni.Non si teme nè si rispetta nulla più,neanche il nome di Cristo stesso.Benchè questo libello fu concepito quasi mezzo secolo fa,i pericoli che cita sono gli stessi che angustiano questi austeri tempi,avari di fama e virtù.La civiltà e l’ordine che reggono il nostro vecchio mondo,sono minacciate da chi,spinto dalla fame e dalla disperazione verso una natura che li ha creati miseri,crede che chiunque sia in grado di detenere ed amministrare il potere.Nemmeno la nostra Santa Madre chiesa è al sicuro da questi indegni nemici,colpevole ai loro occhi,di perpetuare l’ingiustizia e la corruzione nel mondo.Questo libello riporta le gesta di uomini devoti alla fede di Roma,che combatterono il male,l’errore e i falsi martiri di una dottrina che non è quella dei Vangeli.Possa il cielo,in questi tristi tempi,donare al mondo un’altra generazione pari a quella narrata in queste pagine,affinché il nome di Cristo e quello della sua devota serva,Maria Maddalena,siano preservati da chi,pur di nuocere al santo Padre,non teme di commettere sacrilegio e bestemmia contro lo Spirito.”

Questo manuale fu rinvenuto in una vecchia cella,nascosta da una parete malridotta nella sacrestia della chiesa di San Vito a Forio d’Ischia.Il giorno del ritrovamento io,il prof Nigro e il prof Callisti eravamo nella chiesa di San Vito per studiare una colonna arabescata,dello stesso stile di quelle presenti nella cattedrale di Murcia,nella Spagna Meridionale.Ma la nostra attenzione si posò sul quel muro consumato dall’umidità e dalle mani dei fedeli che,nell’attesa di poter parlar col parroco, appoggiavano su di essa. Il prof Callisti inizò a spingere indietro la parete,e una parte di essa,friabilissima come un biscotto,si frantumò,staccandosi di netto dal resto del muro.E fu allora che scoprimmo una piccola nicchia in muratura,semi coperta da un palo ligneo incastrato tra il pavimento ed il soffitto,ed in essa trovammo quel libro.Nonostante questo sia un documento importantissimo,fu,come detto,quella dedica del vescovo francese a colpirci.In tempi,questi odierni,dove si è fatto un gran parlare di codici più o meno fantasiosi,del Sangue di Gesù e di Maria Maddalena,le parole della dedica,è inutile negarlo,catturarono la nostra curiosità.Senza esprimere giudizi,ne pregiudizi,riporteremo qui,per chi avrà interesse a conoscere questa storia,ciò che essa racconta,con la viva speranza ,come uomini di storia e di scienza,che questo possa essere un tassello per conoscere la verità.

[Modificato da Icarius 15/03/2007 1.38]

loshrike
00giovedì 15 marzo 2007 11:58
L'incipit mi ricorda molto lo stile di Evangelisti, mi piace, non so' al momento se darai al tuo reacconto le stesse atmosfere cupe; mi piacerebbe comunque leggere il seguito al più presto..

Losh [SM=g27811]
Icarius
00martedì 20 marzo 2007 01:35
"Io ti dico:Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.Ti darò le chiavi del regno dei cieli;tutto ciò che avrai legato sulla terra resterà legato nei cieli e tutto ciò che avrai sciolto sulla terra resterà sciolto nei cieli."
MATTEO 16'18




IL GALLO NERO


Quella mattina di fine inverno,inizio primavera,il vento secco aveva soffiato sulla pianura afragolese, asciugando l'aria e rendendo limpido l'immenso paesaggio selvaggio che circonda la regione. Anche in tempi bui e nefasti come questi,come sempre accade,piccole cose sono capaci di dare gioia all’animo umano. Questa mattinata,dopo lunghi mesi di freddo,carestia e nebbia, sembrava finalmente un buon auspicio. Il cielo aveva acquistato un colore blu intenso,mentre sull’orizzonte immense nuvole,tra l’opaco e il lucido,a seconda di come il sole le investiva con i suoi raggi,si allontanavano verso chissà quali posti lontani. Simili mattinate,così limpide,chiare e soleggiate,non erano usuali in questi tempi. Non che alla fine dell’inverno e l’inizio della bella stagione tali condizioni siano rare. Tutt’altro direi. Ma questa giornata,nata sotto così benauguranti segni,e quando la gente soffre,ha fame ed ha paura ne invoca continuamente e si aggrappa a tutto,sembrava davvero poter metter fine ad un periodo particolarmente duro e cruento. Nell’anno del Signore 1271 forse le cronache e gli annali non lo riporteranno,ma l’inverno,dalla gente che l’ha vissuto sulla propria pelle,sarà ricordato tra i più lunghi e terribili. In questi tempi,dove la civiltà e la conoscenza sembravano aver ripreso di nuovo a rivivere dopo secoli oscuri e bui,la fede era stata,come sempre avviene nei momenti difficili,l’unica cosa sulla quale appoggiarsi. Ed al cielo la gente aveva chiesto di liberarla dalla carestia e dalle malattie che,incessantemente da 13 anni,flagellavano la regione. Gli ultimi mesi erano trascorsi con giorni e notti avvolte nell’umidità e nella nebbia,che spesso davano all’aria un fetido appiccicoso ed una malsana essenza,richiamando insetti da ogni dove e causando una costante moria di animali. Ma ora il vento,questo benedetto vento,che sembrava essere sorto dalla terra come una liberazione dal male,aveva spazzato nuvole che molti credevano eterne,decise quasi a non permettere a quella stessa terra di respirare e come una cappa appestavano tutto ciò che si trovava sotto di esse. E strappate da quell’infelice e miserabile terra,le nuvole non potevano più coprire il sole,che ora,libero,inondava tutto con la sua forza luminosa e vitale. Ma sebbene questo vento abbia reso l'aria fredda e pungente,non sembrava aver sortito lo stesso effetto sugli animi di alcuni abitanti della contrada di Capomazzogna.Era questa una nobile e bellicosa contrada,a detta di molti la migliore per lignaggio,fede verso il papato e lealtà alla corona,che si trovasse nella città di Afragola,roccaforte angioina e città culto per la causa guelfa,nota in tutto il regno di Napoli. Certo,voi mi direte che gli animi di tali uomini,i capomazzoni appunto,sono facili a scaldarsi troppo e per un nonnulla,indipendentemente dal vento,per freddo che possa essere. Ma da quello che si udiva nella via maestra,uscendo sulla grande piazza di San Michele,sembrava il linguaggio tipico di quelle epocali risse che non sempre si ha la possibilità di vedere. Un nugolo di persone,che sembrava uno sciame compatto di zanzare,come quelle che si vedono d'estate,attorno ad una luce,in una serata particolarmente umida,si addensava intorno a qualcosa. Come un muro spesso,questo calco disordinato ma,come detto,compatto,non permetteva di vedere cosa stesse accadendo nella via. Solo alti e forti grida,accompagnate da un tintinnio metallico,rumore questo che non lascia dubbi sul tipo di spettacolo offerto alla folla accorsa sulla strada,uscivano sulle teste dei curiosi accorsi a vedere di cosa si trattasse. E dicevamo di quel tintinnio,linguaggio chiarissimo ad alcuni tipi di uomini,quelli troppo esperti di fatti d'arme,e i capomazzoni sono tra questi,che smascherava subito,senza fronzoli,anche a chi non riusciva ad aprirsi una strada nella ressa generale,cosa stesse accadendo. Eppure,come detto, la giornata era iniziata bene.Il sole era alto è forte,ma il vento secco e fresco ne smorzava gli effetti,limitando la sua oppressiva calura,oltre a rendere terso e limpido il cielo,di un blu intenso che dava l'idea,da un momento all’altro, di cadere sulla verde campagna,qualora il battagliero vento cessasse d'incanto di soffiare.Nella via maestra,che è la strada principale di Capomazzogna,dividendo in due parti la contrada,una allegra e scanzonata brigata motteggiava e scherzava di lena grossa,come solo gli afragolesi,e tra questi i capomazzoni sono i più fieri rappresentanti,sanno fare. Erano 5 giovani uomini,della nobiltà del posto a vedere i loro abiti ed il modo di parlare,ciascuno accompagnato da un paio dei loro servi,che non disdegnavano di dare il loro contributo al gioioso baccano dei loro padroni. Al centro del gruppo spiccava uno particolarmente eccitato,che a sentire la confidenza con cui citava versi e rime,doveva essere buon conoscitore di lettere. A questa impressione contrastava però una spada,non di quelle grosse che taluni usano portare legate alla sella del proprio cavallo,che gli scivolava sul fianco sinistro. Un farsetto color ambra,attraversato da due strisce larghe scure,che gli copriva il busto fino all’altezza dell’inguine,stretto sui fianchi da una larga cinghia borchiata di un nero lucidissimo. Calzamaglie di velluto verde scuro,finivano negli stivali di cuoio nerissimo.Di aspetto ben curato,come tutti i giovani rampolli dell’aristocrazia del regno e portamento tipico della classe a cui apparteneva. Tuttavia egli non somigliava a nessuno.Per chi deve descrivervi questo capobrigata,perché a vederlo con gli altri questo sembrava,potrebbe venire in aiuto qualche sagoma da romanzo,visto che costui sembrava diverso da tutte le altre persone che comunemente si vedono nelle città.Prendete una di quelle figure esili e gentili,cui si vedono solitamente nei romanzi cortesi,ed immaginatelo però allegro,quasi licenzioso,diversamente invece da come appaiono gli eroi di quei romanzi.Un tipo tra Lancillotto e Tristano,cavaliere e poeta,dai capelli scuri,la pelle chiara,muscoli mascellari ben fatti ed evidenti in un viso regolare,dove erano in risalto grandi occhi chiari,disegnati in ciglia nerissime.Il naso vagamente aquilino,che per alcuni può essere indice di astuzia,per altri di superbia,per altri ancora costui,da questo particolare,sarebbe stato riconosciuto senz’altro per tipico afragolese.
“Eppure,in fede vi dico,senza fallo o dubbio di sorta,che fra gli eroi Teseo fu il migliore!”
Disse questo novello Ulisse,vista la facile favella,il portamento sicuro e l’aria furbesca.
“In coscienza vi avverto che sebbene Perseo e Bellerefonte gli siano pari in forza e coraggio,egli fu superiore in una virtù,sconosciuta agli altri due: seppe non giurare fedeltà ad una sola donna!”
Continuò il capobrigata,agitando con fare tipico dei maestri scolastici alcuni fogli con versi e rime,mentre i suoi compagni accolsero con sonore risa quell’affermazione.E fu durante gli allegri schiamazzi di questa brigata che alle sue spalle apparve un gruppo nutrito di uomini. Abbigliati in modo similare ai giovani che li precedevano nella via maestra,se si esclude il fatto che erano tutti armati e non dello stesso umore. Il più fiero tra questi,un tipo alto,vestito di un grigio scuro con un cinturone bianco dal quale,come detto,pendeva uno spadone con l’elsa finemente ornata di bronzo che incrostava tesissimi lacci di cuoio. Una cicatrice attraversava la tempia destra,tra l’occhio e l’orecchio.La barba incolta gli cresceva irregolarmente su un viso solcato da rughe ed un ghigno che pareva rendere la stessa bocca una gran ruga,mentre il capo era ben rasato.
“Guisgard degli Orafizi,ascoltate la messa e vi cibate del corpo di nostro Signore,pur se impunemente ne violate i sacri precetti!”
Gridò l’uomo con la cicatrice al giovane capo della brigata che lo precedeva.
“Se offendo Iddio onnipotente,ne rispondero’ ai suoi ministri, non a voi!”
Rispose il giovane,che aveva appunto nome Guisgard, con un ghigno beffardo,volgendosi indietro,verso il suo interlocutore,mentre i suoi compagni si aprirono intorno a lui,portando le mani sulle spade,come se già fosse chiaro come sarebbe finita la storia.




Eresseie
00martedì 20 marzo 2007 13:53
Intrigante questa storia!Le descrizioni particolareggiate ti fanno entrare bene nell'atmosfera del racconto e il personaggio di Guisgard incuriosisce con quel suo tocco da cavaliere scanzonato(che mi ricorda tanto qualcuno [SM=g27824] )...vediamo come si sviluppa il tutto! [SM=g27811]

[Modificato da Eresseie 20/03/2007 13.56]

Icarius
00venerdì 23 marzo 2007 14:06
I due gruppi erano nella grande piazza di San Michele,l’uno di fronte all’altro. Ognuno attorno al proprio capo. In quel momento il vento iniziò a soffiare con folate più imperiose su quegli uomini,non più riparati dagli alti palazzi che sorgevano sui lati della grande via maestra,che li aveva condotti nella piazza.
“Quando ruberete ciò che appartiene alla chiesa ed ai suoi uomini sarà affar vostro e loro,ma delle cose che mi appartengono e che voi oltraggiate,sarà a me ed alla mia spada che ne risponderete!”
Gridò l’uomo con la cicatrice,rispondendo alle parole ed al ghigno di quel giovane impudente.
“Rendimi ciò che è mio,figlio di Ilio,o per gli dei sarà fuoco e tormento per te e la tua gente!Scatenerò l’Ade in tutta la troade,quanto è vero che sono degli Atridi il migliore!”
Iniziò a recitare Guisgard,rivolgendosi ai propri compagni,che divertiti lo ascoltavano. Questa risposta in prosa epica,sebbene il giovane la recitasse guardando i suoi amici,era palesemente indirizzata al suo altero interlocutore,che resosi conto del come il ragazzo si burlasse delle sue parole di sfida,sentiva sempre più crescere la rabbia dentro se.
“Basta recitare i poemi di Artù!Al diavolo quelle favole e rispondete da uomo a ciò che vi dico!”
“Questi,amico mio,sono i poemi di Omero non di Artù!Se con la spada falciate capi e membra come con la lingua mutilate le arti,solo un folle si batterebbe con voi!”
Rispose in modo irriverente Guisgard,causando sonore risate tra i suoi.
“Prima insidiate la mia futura sposa,poi cercate di mettermi in ridicolo con le vostre stupide lettere. Io,Nicola dei Cimmoni,devo subire le ingiurie di un gaglioffo?”
Gridò al giovane l’uomo della cicatrice,sfoderando la spada e lanciandosi su di lui.
“No,vi darò soddisfazione!”
Rispose Guisgard,riuscendo a bloccare con la spada il colpo che l’uomo voleva infliggergli brandendo pesantemente la sua spada. In quei concitati istanti,come una muta di cani che avvista la preda,gli accompagnatori dei due duellanti,sfoderando le spade,diedero inizio allo scontro. Tutti erano contro tutti. Padroni e servi contro servi e padroni. In breve nella strada grida e tintinnii si sparsero,richiamando la gente dalle vie vicine,dalla piazza e dalle case che là sorgevano. In quella rissa indiavolata,proprio nel suo centro,vi erano i due più adirati. Come se avessero atteso tale momento da molto tempo,forse troppo, Guisgard e Messer dei Cimmoni si battevano con un impeto che poteva significare una sola cosa:odio! Si legge nei libri e nei poemi che Amore ha fatto nascer guerre, sorgere e distruggere città e far compiere ai suoi devoti azzardate imprese. Ma anche un’altra forza ha spinto gli uomini a fare gesta,non buone o cattive,ma grandi. Ed è proprio questa forza ad animare i due contendenti. L’odio. Un odio profondo,che ha bisogno di sfogarsi o rischia di consumare chi ne è schiavo. Messer dei Cimmoni brandiva con forza la sua spada, ma Guisgard si difendeva,adottando una guardia alta e rispondendo con colpi laterali,a taglio sul ventre del nemico,che pure mostrava ottima tecnica,parando ogni colpo. Ma ad un tratto,liberatosi dell’uomo con cui aveva ingaggiato duello,dal gruppo si lanciò verso i due una figura nera e veloce. Arrivò come sospinto dal vento,tanto era rapido,alle spalle di Guisgard. Questi solo per un soffio ne evitò il colpo.
“Lasciatelo a me,mio signore!”Disse il la nera figura.”Sogno da tempo di mozzare quella lingua, troppo a suo agio nel mancar di rispetto a chi gli è superiore per nascita!”Continuò,facendo roteare le due armi che impugnava;una spada ed un pugnale.
“Fortuna che conosco il vostro modo di combattere,Francesco detto il Bianco,sennò mi avreste infilzato come un tordo!”Disse Guisgard,guardando il nuovo rivale,che aveva appunto tale nome, cercando di posizionarsi in modo da tenere a bada entrambi i suoi nemici.
“E’ stata solo fortuna,il mio prossimo attacco vi sarà letale!”Rispose il Bianco. Era costui un tipo di bassa statura,esile ed elegantemente abbigliato. Indossava una giubba di un rosso acceso,ornato di bottoni color ottone,che cadevano lungo il torace,dalle spalle alla vita ed una cintura di un blu chiarissimo,dalla quale penzolavano vari monili. I calzoni,anch’essi rossi, scendevano,non molto aderenti,su stivali di pelle scura. I capelli lunghi e nerissimi,un viso,non bello,tondo e piccolo,rivelava in quegli occhi scuri,un animo perverso,superbo e adulatore.
“Fortuna!Ma messere,perché non dare a Cesare ciò che è di Cesare? Riconoscetemi che conosco il modo di battersi dei nobili della mia contrada;e voi siete famoso per attaccare alle spalle,in una mischia,i vostri avversari!”Gli disse Guisgard,col suo solito sorrisino,tipico di chi si trovasse a proprio agio in questo tipo di faccende.
“Uccidilo per me,Francesco,così mi eviterai altre seccature. Sono già ai ferri corti con la famiglia di questa canaglia!”
Disse messer dei Cimmoni al suo fedele. Guisgard stava lì per dire una delle sue solite frasi ad effetto,quando il Bianco gli piombò addosso. Il giovane irriverente parò a fatica il colpo,ma con l’elsa della sua spada colpì la mano sinistra del suo nemico,facendogli perdere il pugnale. Il bianco,perso il vantaggio delle due armi,e individui di tal specie ne risentono gravemente,cercò di chiudere la contesa colpendo con forza,ma poca lucidità,al capo il suo giovane rivale. Questi evitò l’attacco spostandosi lateralmente,varando di contro un fendente che lacerò il ventre del Bianco. Alla vista del nobile cavaliere colpito a morte,la ressa si arrestò. In un istante Guisgard fu avvolto in un lungo mantello, con un cappuccio che gli copriva anche il capo,da i suoi compagni. Questi lo spingevano in una via secondaria della piazza,mentre il ragazzo guardava il corpo del Bianco,in una pozza di sangue,immobile sul fondo della strada.
“Chi ha la mia spada?”Gridava ansimando Guisgard.
“L’ho presa io,padrone!State calmo!”Rispose uno dei servi,l’unico dei suoi uscito vivo dallo scontro,mentre l’altro era stato ucciso.
“Bene,bravo!Puliscila bene!Capito?Non voglio il sangue di quel maledetto sulla sua lama!”
Gli urlava Guisgard,mentre i suoi compagni lo conducevano,quasi portandolo di peso,di corsa lontano dal luogo del combattimento.
“Per di qua,forza!Voi dietro,guardate se ci seguono!”Si sentiva urlare dal gruppo che conduceva il giovane al sicuro. Attraverso vicoli stretti,il gruppo giunse ad un grande palazzo. Riconosciuti dai servi dell’abitazione,furono fatti entrare. Di li a poco furono ricevuti in una sala grande,dove ad attenderli,seduto vi era un uomo. Sentiteli entrare si levò di scatto. Era costui di alta statura e robusta corporatura,con un viso,che seppur celato dalla penombra della stanza,mostrava lineamenti regolari e ben fatti. Colpiva anche per il suo portamento,che tradiva essere un gran signore. A vederlo,chiunque riteneva grande ingiustizia che a tal uomo fosse negata la gioia della luce. Era infatti Messer Giovanni di Credenzia,questo era il suo nome,cieco. Da piccolo,portato da suo padre,il conte di Credenzia,ad una battuta di caccia,avendo trovato una vecchia balestra,ancor munita di freccia,giocando ne rimase gravemente ferito,tanto da perdere il dono della vista. Ma forse fu proprio questo a renderlo tanto determinato e sicuro di sé. Facendo nascere in lui un tale orgoglio che,lungi da essere considerato superbia,gli aveva permesso di ereditare tutti i possedimenti della sua famiglia,come giusto che fosse,contro chi vedeva per lui,mutilato e debole come era, solo un futuro in un monastero. Il conte Giovanni era da sempre amico dei nobili Orafizi,a cui apparteneva Guisgard. E nutriva per lui un affetto fraterno,che Guisgard ricambiava allo stesso modo. Il conte sapeva gia tutto quanto fosse accaduto nella piazza di San Michele. Dal palazzo degli Orafizi un servo era corso ad avvertirlo,e sapeva che i compagni di Guisgard non avrebbero trovato posto più sicuro del suo palazzo dove nasconderlo.
“Avete fatto bene a condurlo qui!Per il momento è al sicuro!La sua casa è il primo posto dove lo staranno cercando!”Disse il conte.
“Ma presto verranno qui!I familiari del Bianco non lasceranno passare la morte di uno dei loro!”
Continuò.
“Cosa proponete di fare,messere?”Domandò uno dei compagni di Guisgard. Il conte allora fece cenno a Guisgard di avvicinarsi.
“Ragazzo mio,è inutile perdere tempo!Ti cercheranno per tutta la contea!Devi andar via da Capomazzogna,subito e alla svelta!”
“Fuggire dalla mia terra come un volgare assassino?Loro ci hanno attaccato!Non abbiamo colpa!”Disse Guisgard alzando la voce.
“Non è la legge che devi temere,ma la vedetta dei Bianchi!Devi lasciare la contea,subito!”
Rispose il conte.
“Sapete meglio di altri che ambisco a diventare cavaliere e un dì partire per la guerra in Terra Santa!Non macchierò il mio onore e dire addio ai miei sogni!Non sono un vile e non fuggirò!”
“Ragazzo non farti confondere dall’odio e dalla vendetta!Sappiamo che nessuno di quella gente vale te o anche la sola tua metà!Ma si vendicherebbero contro i tuoi cari e la tua famiglia!E poi c’è messer dei Cimmoni!”A queste parole del duca,Guisgard si fermò turbandosi.
“Cosa volete dire di messer dei Cimmoni?Vuole la mia testa?non è una novità,terrò a bada anche lui!Tra lui e i Bianchi non trovo differenza;valgono meno dei miei cani!”
“Ragazzo mio,sai cosa intendo!Io ti conosco e so che sei nobile di sangue e di animo!Ma tutti ormai sanno che incontrasti segretamente Lorena di Adelante,promessa sposa da suo padre proprio a Messer dei Cimmoni!”
“Mi conoscete bene e sapete che io…”
“Lo so!”Lo interruppe il conte,facendo un gesto volto a significare che c’era altro a cui pensare.
“So che le tue intenzioni sono pari al tuo rango e mai l’avresti disonorata!Ma quel matrimonio si farà,tu non puoi evitarlo!Puoi evitare invece che due potenti casati,i Bianchi ed i Cimmoni,si uniscano contro la tua famiglia!”Continuò il conte. A queste parole,Guisgard abbassò il capo. Mille pensieri gli attraversavano la mente. Guardò il conte e disse:
“Ditemi,mio signore e amico,cosa devo fare!”
“Parti da Capomazzogna,va nella capitale,a Napoli!Lì i tuoi ideali e i tuoi sogni non moriranno!Sei colto e sai usare la spada!Lì diventerai cavaliere!”Rispose il conte,tenendogli strette le spalle,come a parlare ad un fratello.
“Partire così,per Napoli,senza salutare i miei cari…”
“I tuoi sanno gia tutto!Sarebbe da pazzi tornare,anche solo per un saluto,a casa tua!Qui c’è uno dei servi più fedeli alla tua famiglia,Mollone!Tuo padre l’ha inviato a dirmi quello che era successo!Ed è pronto a partire con te!”Gli disse il conte.
“A Napoli…”Sospirò Guisgard.”E’ così lontana…così grande…chi mi farà cavaliere laggiù?”
“Ricorda questo nome come se fosse il tuo tesoro più grande,assieme alla fede:Sir Taddeo D’Altavilla, il comandante delle guardie di re Carlo D’Angiò ed è un Capomazzone.Digli da dove vieni e chi sei;penserà a tutto lui!”Rispose il conte.
“Signore dovete affrettarvi!Ogni volta che si odono passi in fondo alla via potrebbe essere un pericolo!”Disse Mollone al suo padrone.
“Ha ragione,devi andare ragazzo mio!Se iddio ha per te qualche suo piano,anche tutto ciò ha un significato!Nulla accade per caso,ricorda,nulla!Addio,e che Iddio ti protegga!”Disse il conte con un filo di sincera commozione.
“E sia,vado!So che aiuterete la mia famiglia,come avete sempre fatto con me!Ma so che un giorno tornerò!Lo giuro su quanto ho di più sacro!”
Disse Guisgard,tra il pianto ed il lamento dei suoi compagni.

Icarius
00martedì 27 marzo 2007 13:42
L’oscurità era piombata di colpo su tutta la vasta pianura di Afragola. Di quella limpida giornata era rimasto solo il vento,che soffiando sull’erba incolta che dominava il paesaggio circostante, creava sinistri sibili nell’aria che,ascoltandoli,al giovane fuggiasco sembravano echi di voci lontane. Voci perse nel vuoto dei ricordi,nelle nebbie della nostalgia. Ad un tratto arrestò il cavallo ed iniziò a guardarsi intorno. Quasi a cercare di comprendere il perché di quel viaggio.
“Oggi l’aria era chiarissima,quasi pungente,mentre il cielo era terso come non ricordavo di averlo mai visto!” Disse Guisgard lasciando perdere lo sguardo nell’immensità.
“ Il sole di stamani sembrava un invincibile guerriero,che aveva spazzato via la nebbia dalla terra e la paura dagli uomini. Ora invece guarda,la notte è sovrana di tutto,di quello che fino a poco fa sembrava essere luminoso e pulito!”
“Non vi crucciate,padrone!Passata la pianura saremo nelle terre di Napoli!”Rispose il fedele servo al suo padrone. Guisgard a quelle parole si voltò e sorrise. Un sorriso amaro e beffardo. Amaro per un destino che lo spingeva lontano dalla sua casa e dalla sua vita; beffardo perché gli sembrava tutto assurdo ed irreale. E lui non era abituato a cimentarsi con cose a cui non riusciva a dare un senso. Ma guardando il suo servo,si rendeva conto quanto fosse più assurdo chiedere che fosse lui a capirle. Era questi,che come detto aveva nome Mollone,uno di quei servi,non solo leali e fedeli al proprio padrone,cosa non sempre usuale,ma anche riconoscente. E proprio quest’aspetto faceva di Mollone un servitore ideale. Egli sapeva che doveva tutto ai suoi padroni e che sarebbe stato peccato grave dimenticare tutto ciò. Si diceva nella contrada che Mollone avesse messo gli occhi su di una ragazza. Una lontana cugina del suo padrone Guisgard. Ma Mollone,timido come era,ci impiegava più tempo del normale,se c’è un tempo di media per tali cose,ovvio,a far capire alla giovane che le piaceva. E sembrava aver guadagnato,piano piano,con molta fatica, un leggero favore verso di lei,a giudicare dal fatto che questa ragazza,Grazia dei Mussi era il suo nome,quando sapeva che Mollone attraversava la strada dove c’era casa sua,si faceva sempre trovare alla finestra a curare i fiori.
“Se ella si trova alla finestra proprio quando sono io a passare da quelle parti,”pensava in quei momenti Mollone “vorrà pur dire qualcosa!Anche perché sò per certo,essendomi informato dai servitori di casa sua,che appena io giro l’angolo della via,lei si ritira chiudendo la finestra!”
Poi,come è tipico di chi mai ha veduto slanci troppo grandi della sorte nei propri confronti,quasi ad allontanare illusioni o voli di fantasia, diceva fra sé e sé:
“Ma è pur vero che le donne sono esseri strani,diversi da come siamo noi uomini. E stentando a capirle il mio gentile padrone Guisgard,che pure ne conosce molte di donne,e più della metà di loro gli mostrano favore,a maggior motivo devo essere cauto io,che non ho simile conoscenza in merito!”
Questi e mille altri pensieri ancora attraversavano la mente dell’omone. Si perché di omone si trattava. Non vi sarà sfuggito che Guisgard sognava di diventar cavaliere. Di grandi e fieri paladini erano pieni i suoi libri. Lancillotto,Parsifal,Ivano. E potremmo dire che il suo servo poteva ambire ad essere Morgante,il mitico scudiero di Orlando. Con lui condivideva la grande mole. Alto,ben piazzato con spalle larghe,ampio torace. Non inganni la pancia che a stento la cinghia teneva a bada. Mollone era agile e forte. Anzi fortissimo. Da solo valeva almeno tre servi di quelli robusti. Nessuno l’aveva mai visto buttar le mani in una rissa. Eppur nessuno aveva mai avuto l’ardire di provocarlo o sfidarlo. Questa palese assenza di rivali la dice lunga sull’effetto che quel colosso doveva fare agli occhi degli altri. Era brunissimo,caratteristica questa tipica delle sue zone,le terre ad est dei grandi lagni. Il viso era davvero particolare. Ad una corporatura tanto sterminata,faceva da contrasto un visi tanto piccolo. Gli occhi erano minuscoli.Non fessure ma piuttosto fori. Piccoli fori neri sovrastati da ciglia folte e scure. Il naso era ben proporzionato a quel volto;piccolo,per niente pronunciato. Il mento sporgente infine chiudeva quel viso tondo,che si allargava all’altezza delle gote,che parevano due piccole mele vermiglie,ai lati di una bocca irregolare,per via del suddetto mento,che era quasi sempre aperta a causa di un respiro affannoso . Mollone stravedeva per il suo padrone. Gli era sinceramente affezionato,come tutti i suoi amici del resto. Ed era questa una caratteristica di Guisgard; ammirato ed amato dagli amici,odiato e inviso ai nemici. Chi avesse chiesto in giro chi fosse Guisgard degli Orafizi, si sarebbe sentito rispondere:
“E’ bianco!” Oppure:”E’ nero!”
”E’un furfante,una canaglia”Ma anche: “E’ il miglior uomo del mondo!”
A Palazzo degli Orifizi i servi solevano cantare una filastrocca che terminava così:
“Guisgard degli Orifizi
maschera con virtù i propri vizi,
i ragazzi lo voglion per fratello
e alle donne sembra tanto bello!”
Egli era così;angelo per qualcuno,diavolo per altri. Aveva la capacità di mascherare,come motteggiavano i suoi servi,i propri vizi,facendoli apparire come virtù. Anche chi l’amava riconosceva alcuni suoi difetti,ma eran tanti i suoi pregi,tipici di chi ha sangue blu,che li surclassavano di lungo. Chi lo conosceva di certo poteva dire che egli non era ne egoista ne falso.
Se tra voi ci fosse stato un suo nemico o semplicemente qualcuno che non gli andasse a genio, egli,seppur bravo a recitar poemi e rime,non sarebbe riuscito a nasconderlo. Per questo fu protagonista di molte liti e tafferugli,l’ultimo dei quali lo spinse ad abbandonare la sua terra. E proprio ora va verso una nuova destinazione. Cosa l’attendesse,non osava immaginarlo. Così,tra mille pensieri,percorreva la via che lo avrebbe condotto a Napoli. Aveva deciso di tenersi sulla strada,evitando i boschi ‘,che di notte,non pratico di quei posti,non gli pareva saggio percorrere. Assieme al suo fedele Mollone,si era accampato in un vecchio casale abbandonato,trovato lungo la strada. I due giunsero al mattino nella capitale,sotto una pioggia battente ed un aria umida e pesante. Nella campagna che circondava la città,erano palesi le tracce della carestia che da mesi flagellava il regno. Ma entrato nella città vera e propria,fu profondamente colpito dal via vai generale,che in lungo e largo la percorreva.
“Vedi amico mio?Questa è una vera città!” Disse Guisgard al suo servo,mostrandogli con ampi cenni quello che li circondava. Dopo aver chiesto informazioni per giungere alla caserma reale e per come trovare messer D’Altavilla,i due si misero in cammino,sapendo che quell’incontro sarebbe stato una tappa fondamentale nelle loro vite. Di lì a poco i due giunsero a Castel Capuano,residenza del re e della sua guardia reale. Era questo un corpo elitario dell’esercito angioino. Re Carlo aveva deciso che questo speciale corpo armato,a lui fedelissimo,fosse composto non solo da francesi,ma anche da cavalieri italici,in prevalenza meridionali. I motivi potrebbero essere diversi a giustificare tale scelta: vuoi perché gli autoctoni conoscevano bene la città e il regno;vuoi perché durante le battaglie contro le forze sveve molti italici si erano guadagnati la fiducia del re; o forse,cosa non secondaria,le fila dell’esercito francese dovevano per forza di cose allargarsi anche ai nuovi sudditi del meridione,viste le ultime grandi conquiste del re. Ora l’unico requisito richiesto era,oltre il giuramento di fedeltà al re,quello di appartenere alla causa guelfa,della quale re Carlo D’Angiò era il campione. Appena fuori Castel Capuano,Guisgard scendendo da cavallo disse al suo servo:
“Aspettami qui!Non credo facciano entrare chiunque e gia sarebbe un miracolo se lasciassero entrare me!”
Mollone non rispose e iniziò a grattarsi il capo,mentre teneva a bada il cavallo del suo padrone. Così Guisgard si avvicinò al muro che circondava un cortiletto,al centro del quale sorgeva il massiccio maniero. Giunto al portone principale,una delle due guardie armate che presiedevano l’ingresso gli si fece innanzi:
“Chi siete e cosa cercate qui?”
“Domando a voi se da qui giungo presso messer Taddeo D’Altavilla!Ho cose importanti da riferirgli!”
“No,da qui si passa solo con un permesso speciale!Per la caserma dovete seguire il muro per di la!”
Guisgard allora fece come indicatogli dalla guardia,giungendo ad una piccola porticina aperta che dava ad un piccolo atrio. Qui c’era un via vai continuo di uomini armati. L’ambiente era tutt’altro che silenzioso e nessuno si curava di parlare a voce bassa. C’era chi simulava duelli,chi cantava,chi dormiva sul bordo in muratura che correva lungo i muri o chi invece mangiava appoggiato alle colonne che circondavano l’atrio. Guisgard si avvicinò ad una saletta dall’altra parte dell’atrio,dove c’era una guardia seduto appoggiandosi con i piedi su di un tavolo. Arrivato sull’uscio,Guisgard cercò di richiamare l’attenzione del militare che,accortosi del giovane,gli fece cenno di attendere. Guisgard allora si tirò indietro,iniziando a guardarsi attorno. Li vicino notò un tipo,non un soldato a vedere come era abbigliato,che nervosamente camminava avanti e indietro. In quel momento la guardia seduta si alzò e affacciandosi fuori il suo stanzino disse con voce seccata:
“Chi è il primo?”
“Sono io!Sto aspettando da stamani!”Disse il tipo che fino ad un momento fa sembrava consumare il suolo sotto i suoi piedi,tanto camminava nervosamente.
“Il comandante è stato impegnato tutta la mattinata!Dite,cosa cercate?”
“Ho fatto domanda per entrare nella guardia reale!Dite a messer D’Altavilla che ho servito Luigi IX di Francia,fratello del re Carlo e con me ho altre referenze da mostrargli!” Disse l’uomo sempre più agitato.
“Riferirò!Attendete qui,prego!” Rispose la guardia con fare sufficiente. Guisgard,che aveva ascoltato tutto,guardò quell’uomo dalla testa ai piedi,senza ricavarne una buona impressione,nonostante quello che diceva di aver fatto. Intanto,all’interno di una stanza oltre l’atrio,che era quella di messer D’Altavilla,la guardia bussò.
“Ma chi è adesso,insomma!”Gridò un vocione dentro quella stanza.”Entrate e vediamo se oggi la smettete di importunarmi tutti!”
“Capitano,c’è uno che vuole entrare nella guardia reale!Sembra un gran signore e dice di aver prestato servizio sotto Luigi IX di Francia!”
“Ma ha fatto qualche nome di quelli che sai tu?Ha lettere di presentazione o roba simile?Insomma lo manda qualcuno dei soliti a cui non si dice di no?”
“No,capitano!Sembra però un eroe di guerra!”Disse la guardia,cercando di non alterare oltre il suo superiore.
“Nessuno lo raccomanda dunque!Se vieni ad infastidirmi inutilmente ancora una volta ti prendo a calci fino alla fine della quaresima!” A quelle parole di messer D’Altavilla,la guardia fece un gesto come ad inchinarsi e filò subito via. Al ritorno della guardia,l’uomo che attendeva una risposta,vedendolo iniziò a stringere un bastone,di quelli che servono a frustare il cavallo per il galoppo,in modo nervoso.
“Messer D’Altavilla per ora non può occuparsi di nuovi cadetti!Tornate fra qualche tempo e forse potrà ricevervi!” Sentenziò la guardia,mentre l’uomo pietrificato,quasi sul punto di svenire,si abbandonò su una panca di legno posta li vicino. Guisgard,a quella scena,si fece scappare un sorriso,per poi ritrarlo repentinamente quando si rese conto che era difficile,se non impossibile,essere ammessi in quel glorioso e ambito corpo.
“Voi invece,cosa cercavate qui?”Disse la guardia rivolgendosi a Guisgard.
“Ecco io…io vorrei entrare,o meglio,arruolarmi nella guardia del re!”Rispose il giovane tutto d’un fiato,per coprire la soggezione.
“Avete referenze?Avete servito sotto qualche nobile signore o gia nelle truppe del re?”
“Veramente no!Sono arrivato ora dalla mia contrada,Capomazzogna,nelle terre di Afragola!”
“E sia!Attendete qui!” Disse allontanandosi la guardia,che tornò a bussare alla porta di messer D’Altavilla.
“Ma chi è ancora!”Tuonò seccato messer D’Altavilla.
“Signore,c’è un altro che vuole arruolarsi nella guardia reale,ma non è raccomandato da alcuno di quelli a cui non possiamo dire di no!”
“Allora perché,in nome di tutta la tua sporca razza,vieni ancora a seccarmi?Mandalo via!E se insiste,chiama tre o quattro dei nostri e bastonatelo per bene,in modo che non si faccia più rivedere!”
“Ma. signore è un capomazzone!” A quella parola del suo soldato,messer D’Altavilla si destò dalle sue faccende e con un cenno gli disse:
“Ah…beh,cosa diavolo aspetti! Sù,fallo entrare!Lo vedrò adesso,dopo ho da fare!”Ordinò il fiero uomo al suo soldato,che di scatto corse a chiamare Guisgard.

loshrike
00giovedì 29 marzo 2007 13:59
Interessante.. molto interessante.. mi piace.

Losh [SM=g27811]
Icarius
00martedì 3 aprile 2007 19:52
Re:

Scritto da: loshrike 29/03/2007 13.59
Interessante.. molto interessante.. mi piace.

Losh [SM=g27811]



Grazie![SM=x629188]
Felice che a qualcuno la mia storiella sia piaciuta [SM=x629165]
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