Il Tempo.

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loshrike
00sabato 10 giugno 2006 22:28
La panchina mostrava tutti gli anni che doveva avere. Semplicemente guardandola si poteva immaginare lo scorrere del tempo, l’avvicendarsi delle stagioni e le generazioni che nel tempo si erano succedute; generazioni che avevano lasciato ognuna una propria frase, una parola, un’emozione che poi il sole o la pioggia avevano pazientemente cancellato. Era di legno, dipinta on uno smalto verde che in origine doveva essere scuro e brillante, tranquilla riposava riparata dai rami di un castagno che doveva già essere centenario quando l’uomo che ora lo osservava era ancora bambino. Anch’egli portava i segni del tempo, gli anni e le intemperie, la lieve brezza che faceva muovere le foglie sembrava dare alla pianta connotati umani; anche il vecchio castagno sembrava contemplare l’uomo, pensieroso, cercando simili segni del tempo nel suo viso. L’uomo alzò gli occhi socchiudendoli al sole che filtrava tra le alte fronde dell’albero, intravedeva le nuvole che pigramente attraversavano un cielo così azzurro da far quasi dolere gli occhi e la sua mente tornò a tanti anni prima. “Quanto tempo è passato… era venerdì… come si potrebbe dimenticare la nascita di un figlio? Del primo figlio poi…” trasse un leggero sospiro e lascio inesorabilmente fluire il fiume di ricordi… oramai gli restavano solo quelli ed egli sentiva che giorno dopo giorno sembravano farsi sempre più nitidi… addirittura gli tornavano alla mente dei particolari che erano del tutto insignificanti, ad esempio la stizza per aver dimenticato a casa le sigarette, proprio quel venerdì.. nessun conforto durante la lunga attesa. Al pensiero trasse di tasca il pacchetto di sigarette e ne accese una sorridendo al pensiero di aver provato almeno mille volte a smettere ma di non aver mai preso seriamente in considerazione l’idea di smettere; era una delle poche cose che sua moglie gli rimproverava regolarmente, più che altro per il bisogno di riempire i lunghi silenzi che a volte esasperavano la sua pazienza. Era un carattere solare, il suo, sempre pronta a scambiare quattro parole con chiunque, sempre pronta a condividere le pene e le gioie di persone che solo fino a pochi minuti prima le erano totalmente estranee. Insomma un carattere completamente opposto al suo, schivo e riservato, all’apparenza imbronciato o superbo… all’apparenza appunto. Insieme completavano le ventiquattro ore della giornata, 12 ore di sole e luce, 12 ore di notte e tenebra; questo non aveva però impedito ad entrambi di amarsi teneramente e se anche nei gesti lui non riusciva a dimostrarlo lei comunque sapeva che niente era mai venuto prima di lei e soprattutto nessun’altra… tranne forse… si tranne forse Sofia.. “ si si.. ricordo benissimo che una volta, quando ormai Sofia se ne era andata da tempo, ammise di aver provato gelosia nei suo confronti”. Trasse un'altra bccata di fumo dalla sigaretta pensando: “… ma Sofia era mia figlia… era sua figlia”, l’unica altra donna a cui avesse dato il suo cuore, questo cuore ormai scalcinato che non segnava più tanto bene il tempo come prima. Come un orologio d’altri tempi perdeva qualche secondo ogni ora così il suo cuore iniziava a perdere qualche battito, “Non è poi così importante… ha scandito così tanti secondi che se anche ne perde qualcuno ora non fa alcuna differenza, prima o poi tutte le macchine anche le più perfette, stanche o logore, smettono di funzionare”. Sorrise al paragone che gli era balenato in mente. Tornò ad alzare gli occhi al cielo e rivedendo quell’azzurro la mente ritornò ancora ad un’alta giornata di sole. La giornata in cui era nata Sofia. Non aveva particolari riguardanti quella giornata, lui non c’era ad assistere la nascita di Sofia e questo era una dei grandi rimpianti della sua vita.. lui non era lì. Ricordava però la lettera di sua madre e di sua moglie che gli annunciavano la nascita, alcuni mesi dopo, nella città di Asmara sotto un altro cielo azzurro, in una mattina soffocante che già annunciava la tremenda calura della giornata appena iniziata, aveva saputo che due mesi prima Sofia era nata una lacrima calda gli aveva solcato il viso. Una vita che vedeva la luce no bilanciava comunque le tristi morti Africane. La guerra, quella guerra inutile, che continuava a trascinarsi senza un motivo apparente perché la guerra non ha motivi e la “campagna d’Africa”, dietro la retorica e le grosse parole quali: onore, patria, ardimento e gloria, era ancora più insensata di una lite tra bambini. Aveva versato il suo tributo alla patria e pur non essendo il suo stesso sangue, erano comunque il gli anni più belli della sua giovinezza quelli che non avrebbe più riavuto. Come dimenticare quella palla incandescente che tramontava su quel paesaggio polveroso e bruciato, su quegli alberi secolari e giganteschi che parevano antichi quanto l’Africa stessa, e lo sguardo che non incontrava ostacoli sino alla curva dell’orizzonte per non parlare delle notti dove la luna era così grande da sembrare esser stata dipinta sul fondale di un palcoscenico. Tutto questo era Africa, ti entrava dentro l’amavi o la odiavi secondo l’umore del momento ma non riuscivi o meglio non potevi mancarle di rispetto perché lei, come la sua gente sapeva che non contavi nulla, eri solo uno dei tanti conquistatori che si erano succeduti nei secoli e prima o poi anche tu avresti ripreso la via di casa. Il castagno lo vide irrigidirsi e poi sedersi su quella panchina, immobile, ma nella sua esistenza non riusciva a provare un moto di pietà per quel fragile essere; tanti come lui si erano seduti sotto i suoi rami, brevi intervalli di vita… troppo brevi nello spazio della sua esistenza per poter solo pensare di provare simpatia per loro. L’uomo sedette con le mani sulle ginocchia pensando agli uomini e donne che aveva conosciuto, lo avevano con la loro calma rassegnazione quasi lo compatissero, la sensazione che la loro vita fosse senza tempo, senza presagi dello scorrere del tempo senza esserne partecipi perché prima o poi di tutta l’arroganza del nemico altro non sarebbe rimasto che la polvere. L’Africa non ha padroni, quasi che Dio avesse deciso per lei un destino tutto suo in cui l’uomo bianco non rientrava.. non poteva rientrare in questo grande disegno perché Lei,l’Africa, era lì prima di tutti loro e molto tempo dopo il loro passaggio sarebbe ancora stata lì immemore di condottieri e conquistatori, immemore della vita o della morte, il sole avrebbe continuato a bruciarla per il resto del suo ardere nel cielo, come del resto le piogge, che per tre mesi ogni anno, la trasformavano in un immenso pantano dove uomini e muli avanzavano sfiancati, dove la malaria uccideva senza distinzioni di grado o di religione. Questa per lui era l’Africa non gli onori promessi e quella “faccetta nera” che nella canzone attendeva a braccia aperte il nuovo padrone; dove mai si era andata a nascondere? “Nemmeno chi ci aveva mandato a morire aveva avuto il buon gusto di aspettarci” e invece di tornare a passo marziale coperti di gloria e di lucenti medaglie sul petto ci ritrovammo malati, denutriti e vinti; un esercito di straccioni che trascinavano i piedi e spesso sfiniti cadevano a terra. Aveva avuto la fortuna di tornare e con il passare degli anni la certezza che non si sarebbe mai più ripetuta una simile tragedia ma quella era tutta un’ altra storia e ormai nessuno era nemmeno più interessato a sentirla raccontare, la parola d’ordine era diventata: “revisionismo storico” con buona pace di tutti coloro che ci avevano lasciato la pelle o che come lui tropo in fretta erano diventati uomini; il sangue non grondava più dalle sue mani, da anni era venuto a patti con la sua coscienza però quel sangue si era raggrumato e poi seccato lasciando macchie indelebili che si sarebbe portato nella tomba… e allora si che avrebbe dovuto risponderne a Qualcuno.. Posò lo sguardo sul vecchio recinto posto a pochi metri dalla panchina, una vecchia rete arrugginita recintava ancora un ampio tratto di terreno che ora era semplicemente un prato incolto al centro del quale stavano ancora i resti di legno marcito di una piccola casetta in legno. Il vecchio però guardava con gli occhi della mente e l’immagine che ne traeva era completamente diversa. Lì una volta c’era un recinto con una decina di daini avevano costruito addirittura delle altalene per far giocare i bambini ma nemmeno di esse v’era più traccia. Ricordava i giorni in cui ci portava i bambini che rimanevano allibiti vedendo le poderose corna dei maschi e poi sbriciolavano del pane secco e lo davano agli animali che avevano ormai imparato a conoscerli e non appena li vedevano arrivare correvano immediatamente presso la rete. Ogni sabato mattina si ripeteva la stessa scena, già il venerdì i bambini non stavano più nella pelle alla sola idea della gita del giorno dopo. Quasi quasi gli sembrava ancora di sentire le loro grida di gioia… “che stupido vecchio sono…” si ripeteva socchiudendo gli occhi e guardando i bambini che gli correvano incontro con i loro pacchettini pieni di pane secco… avrebbe voluto chinarsi per prenderli in braccio ma sapeva benissimo che non c’era nessuno…. Solo l’eco dei ricordi.


Loshrike
sole281
00sabato 10 giugno 2006 22:37
vorrei rileggere... poi rispondere...e nn so il perchè...ma devo rileggerlo
Ahamiah
00sabato 10 giugno 2006 22:38
mi hai fatto sedere accando al vecchio..
mi hai fatto piangere...
un abbraccio
contaminata
00sabato 10 giugno 2006 22:48
Re:

Scritto da: loshrike 10/06/2006 22.28
...il suo cuore iniziava a perdere qualche battito, “Non è poi così importante… ha scandito così tanti secondi che se anche ne perde qualcuno ora non fa alcuna differenza, prima o poi tutte le macchine anche le più perfette, stanche o logore, smettono di funzionare”.

...Quasi quasi gli sembrava ancora di sentire le loro grida di gioia… “che stupido vecchio sono…” si ripeteva socchiudendo gli occhi e guardando i bambini che gli correvano incontro con i loro pacchettini pieni di pane secco… avrebbe voluto chinarsi per prenderli in braccio ma sapeva benissimo che non c’era nessuno…. Solo l’eco dei ricordi.


Loshrike



ho i brividi...
una strana sensazione...
se potessi riprodurre in questo momento il battito del mio cuore forse riuscirei a spiegare la mie sensazioni...forse...

[SM=x629187]

[Modificato da contaminata 10/06/2006 22.49]

ariel.46
00domenica 11 giugno 2006 01:56
Sono senza parole... mi hai emozionato da morire...
Grazie. Non riesco a esprire quello che provo in questo momento.
Ariel.
[SM=x629188] [SM=x629188] [SM=x629188]
Keko01
00domenica 11 giugno 2006 15:45
Le donne hanno detto tutto amico..........e lasciano, come sempre, poco spazio!!!

Il mio parere? [SM=g27811]





Keko [SM=g27823]
loshrike
00lunedì 12 giugno 2006 14:06
Sentitamente..
... grazie a tutti.

Losh [SM=g27821]
ariel.46
00martedì 13 giugno 2006 09:14
Siamo noi che dobbiamo ringraziate te, mio caro Losh, ho riletto non so quante volte il tuo scrittto e ogni volta mi sono commossa da morire, anche in questo momento non riesco a trattenere le lacrime, quindi... G R A Z I E!!!
Un bacio.
Ariel. [SM=x629140]
loshrike
00martedì 13 giugno 2006 22:29
Re:

Scritto da: ariel.46 13/06/2006 9.14
Siamo noi che dobbiamo ringraziate te, mio caro Losh, ho riletto non so quante volte il tuo scrittto e ogni volta mi sono commossa da morire, anche in questo momento non riesco a trattenere le lacrime, quindi... G R A Z I E!!!
Un bacio.
Ariel. [SM=x629140]



L'ho già scritto da ualche parte ma lo ripeto...
Oltre al piacere innegabile che lo scrivere mi procura i commenti come il tuo mi gratrifica veramente tanto..

Losh [SM=g27828]
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