L’ultimo treno della notte
Aspetto in questa stazione che fuori dall’estate è triste e solitaria, scaldo la panchina tremando d’attesa.
Ivonne, di quale altro ritardo ancora si macchierà la nostra storia? Il tuo amico scriveva di musica sui quotidiani, ultimi trafiletti prima di costume e società, diceva: è tutta una questione di timing.
Se l’esserci trovati alla fine dei conti varrà più del troppo presto, del troppo tardi, Ivonne?
Negli anni ti avrei disegnato così, senza aggiungere tocchi o pennellate.
Quasi ti vedo sul tuo treno, confondendo la partenza con il ritorno, tu che fai di ogni dove la tua dimora, senza contare la spesa affettiva dell’abitare. Appunti fosforescenti fra le mani, e occhi che scolpiscono il buio, pensieri troppo grandi su cui limi gli artigli dell’ ansia. Magari ti specchi nel vetro riflesso di facce sconosciute e dentro ai tuoi occhi trovi il mio nome.
Mi invii messaggi illuminando il led di questo vecchio cuore, dimentico che per delle buone ragioni ci vuole spesso ottima fantasia.
Arriva Ivonne, arriva.
Poco fa qui c’era una bambina seduta su questa panchina di marmo ghiacciato. Ti sarebbe piaciuta, per la bambina che sei e perché ami i bambini, per il tuo modo di essere madre nel portare la vita.
Sua madre poi ti somigliava: le sopraciglia scure, ben disegnate, la pelle quasi d’ebano, solo diversi anni in più di te. Il padre taciturno, sorrideva in disparte, poi ho compreso che era delle Baviera. La bimba si chiama Sarah Jane. Sua madre mi ha chiesto una sigaretta, e si è messa a parlare del ponte sullo stretto.
“ Sai per noi isolani, cioè io abito a Ischia, insomma per noi è stupendo pensare di poter arrivare a terra senza aspettare traghetti, orari, che ne dici?”
“ Credo che sia uno scempio, ma anche se non sto su un’isola posso capire il desiderio di legarsi anche per pochi km alla terra ferma.”
Vorrei portarti su un’isola Ivonne, qualsiasi isola, senza ponti per la terra ferma, mi basteresti tu, Ivonne.
Sarah Jane giocava con il portachiavi che mi hai regalato. Capisce il tedesco, parla italiano, inglese, ischitano ed ha 4 anni. Nel suo nome c’è mezzo mondo. Ride poco.
“ Sai ero andata a Tenerife, in vacanza. La mia prima vacanza. Dopo dieci giorni ho aperto un ristorante e ho deciso di restare lì. Poi due anni più tardi ho conosciuto Franz e tre mesi dopo Sarah Jane esisteva già…Stavo da 10 anni con un altro uomo, è questo il bello, poi davanti ai bambini non si può mai sapere…Non si può mai sapere la vita cosa ti riservi.”
Sono partiti scomparendo nel treno della notte.
Ti sarebbe piaciuta questa storia Ivonne, perché sogni sempre di rovesciare tutto quel che hai e ami quando ti racconto storie. Allora la ripasso pensando a quando mi ascolterai.
Con te stessa tutto ciò non vale.
A volte sai essere molto crudele che non mi pare nemmeno di conoscerti.
Così una sera ho capito il tuo strano rapporto con le storie.
Mi stavi raccontando del tuo flirt con lo scrittore, cioè Luca, a volte hai bisogno di provocare l’altro o forse te stessa per testare i limiti.
In un mese leggesti i tre romanzi di Luca, la sua edizione critica, in un mese vi innamoraste come un flirt dai colori acidi, in un mese vi siete appuntati sulla pelle. Lo studiasti parola per parola, così entrasti nel suo mondo. Quello scritto e quello non scritto. Il suo mondo di festival, di cene assurde, di finzione nella finzione, conoscesti i suoi amici, le sue amiche, le sue amanti, capendo per ogni volto la pagina su cui Luca aveva scritto. Lo sguardo, Ivonne, è la cosa che ti rende stupenda e al tempo stesso ciò che più ti fa male.
Hai conosciuto il suo mondo, guardandolo, entrandovi, poi sarebbe diventato tuo, visto però da dentro e con vigore indipendente. La tua scelta iniziò da lì.
Finito il flirt davanti a una granita con panna, nel cocente azzurro di agosto, senza troppi riti come una degna coppia politicamente corretta, vi stavate salutando, chiudendo la storia. Sapevi che lui aveva appuntato su tovaglie da tavola calda e su moleskine erranti ogni attimo di voi.
Tirasti su con la cannuccia, facendo appositamente rumore, per sbottare poi: “ Certo Luca, grazie di tutto. “ Lo guardi negli occhi e prosegui con lo stesso tono di voce: “ Fammi un piacere se puoi, non mettermi in nessuno dei tuoi personaggi, né in alcun racconto”.
Credo che per uno scrittore come Luca che riversa ogni cosa nei romanzi per trattenerla, sia una crudeltà profonda. Ho letto i suoi libri, per conoscerti, i libri che tieni sul secondo scaffale a sinistra nella letteratura italiana tra la A di Ammanniti e la C di Cassola. Ti rispose da uomo ferito “ Ok, stai tranquilla, non lo farò”. Mi sono chiesto spesso perché reagisti così, se la tua è paura di essere cristallizzata, di appartenere, di essere definita, di essere passata, o se ti piace stare dall’altra parte della pagina senza entrarvi e ho pensato a come si sia sentito Luca nel momento. Di quanti conti in sospeso ancora Ivonne fai pagare le persone che più ami, con cui poi sei più crudele. Per tutte quelle volte che al contrario di Luca, non hai alzato la testa, e ti sei lasciata usare, vivere, permettendo che le persone accadessero nella tua vita.
Eppure io amore mio ti metto in ogni racconto che pronuncio a me stesso per sentirmi più vivo.
Non si può mai sapere la vita cosa ti riservi. Magari hai deciso di vendicarti proprio con me, animale ferito che sei, Ivonne, e forse non arriverai su quel treno. Quale è la tua casa?
Magari non esisti, non ci sei, magari sei vissuta e ora non più, magari sei solo un’invenzione della mia follia, o il vuoto che chiamo amnesia, o lo stato di coma che marcisce d’amore o la fantasia con cui ricalco sul vetro tiepido la mia fredda storia. Magari.
Ma il tempo io lo misuro in mozziconi che mi gioco a calcio sul bordo del binario.
Andremo a casa, amo cucinare per te, ma stasera volevo farti sorridere e ho preso il pollo alla rosticceria e ti viene da ridere ogni volta che mangiandolo ti ricordi di quando mi hai conosciuto. Voglio sentirti ridere.
Sento il fischio della notte e anche il mio cuore si squarcia in due. Ti prego, arriva veloce, voglio vedere il tuo sguardo che mi cerca dal finestrino, voglio vederti scendere e fendere il vuoto, stringerti, sapere che ci sei, che non sei il sogno, voglio tornare nella nostra casa. E poi dopo tutto finire sotto al piumone e addormentarti sul mio petto Ivonne, mentre schiarisco la voce per sussurrarti una storia inventata solo per te che nessuno al mondo ha mai raccontato. Nessun ritardo, stanotte.