La Processione. II° parte..

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loshrike
00giovedì 15 giugno 2006 09:33
Il buon Giovanni, lo stradino, era un’anima tormentata da una moglie poco usa al dialogo ma svelta di mano, capitava sovente che gli amici passando a chiamarlo per una partita a carte o per un bicchiere di vino la sentissero inveire: “Via.. Via, razza di fannulloni ubriaconi che stasera non c’è trippa per gatti.. Giovannino resta a casa o com’è vero Iddio domani a lavorare ce lo mando ingessato”. Gli amici ridevano a crepa pelle e sbeffeggiavano i due con tutta una serie di urla e grida che solo il vaso da notte svuotato sulle loro teste li faceva fuggire a gambe levate. Givannino dal canto suo se ne restava ben tappato in casa e mentre finiva di lavare i piatti si diceva quasi felice che gli amici non avessero potuto vederlo con il grembiule allacciato… altrimenti sai le risate e gli scherzi a cui avrebbe dovuto soccombere. Purtroppo non era stato capace di darle un figlio, già perché lei sosteneva che la colpa era solo ed esclusivamente sua, ed è risaputo come vanno queste cose se un uomo non è capace di fare l’uomo i calzoni li avrebbe indossati la moglie. Si diceva addirittura che si fosse presentata al distretto militare chiedendo di essere integrata in qualche corpo che avrebbe saputo dare il fatto suo a qualsiasi povero uomo. Sfortunatamente un caporale le aveva risposto: “Il mio corpo è a sua disposizione signora.. si integri pure come vuole..” scoppiando poi a ridere con tutti i militari dell’ufficio. Lei non aveva battuto ciglio, gli si era avvicinata e gli aveva assestato un sinistro al mento che aveva lasciato il caporale a terra svenuto e tutti gli astanti in un primo momento esterrefatti avevano dovuto mettercela veramente tutta per ridurla a più miti consigli. Fatto sta che quattro uomini erano stati appena sufficienti per prenderla e sbatterla in cella. C’erano poi voluti i buoni uffici di Don Germano e una piccola somma per far si che fosse liberata e riconsegnata, in custodia, al legittimo consorte il quale non era poi così ansioso di riaverla a casa e in quella settimana di libertà, nel vero senso della parola, era arrivato a desiderare che per qualche fortunata coincidenza la trattenessero il più a lungo possibile. Arrancava anche lui, Giovannino, coperto di polvere, portando la Madonna e pregando che questa sua sofferenza potesse magari muovere a pietà la Santa liberandolo dalla condizione in cui versava, “.. anche solo per pochi giorni… anche solamente per il tempo di riabbracciare Elvira..”, pregava. Elvira era là, discosta da tutti, ultima della fila ma forse prima in quanto a devozione in quanto per lei le preghiere non erano solo formule senza tempo buone solo per acquistare indulgenza.. no lei credeva fermamente. Una fede semplice che era stata sempre l’unica certezza della sua vita. Non aveva avuto una vita facile Elvira, a pochi giorni di vita era stata abbandonata sul sagrato della chiesa, in fondo era solamente una femminuccia e le femmine non servono a sarchiare i campi e non possono nemmeno essere mandate a bottega. Nessuno la voleva, un’ altra bocca da sfamare, e poi come già detto, senza alcuna prospettiva per il futuro ma anzi con l’onere di dovere poi un giorno maritarla e quindi procurarle anche una dote. Il vecchio curato, mosso da non si sa bene quali sentimenti, l’aveva allora affidata alla “Signora”. Ora dovremmo aprire tutto un capitolo per spiegare chi fosse la “Signora” ma ritenendo superfluo qualsiasi commento ci limiteremo ad osservare che la “Signora” era in parole povere una tenutaria di una di quelle case di piacere come molte ce n’erano nel nostro paese in quel periodo. Per uno strano istinto materno forse mai soddisfatto prese subito a cuore il destino della bambina e non volendola far crescere tra quelle squallide mura la diede a balia a certi suoi lontani parenti che molto le dovevano delle loro fortune e che nessuna notizia diretta avevano della sua vita. La “Signora” si riservava di visitarla ogni quindici giorni, la bambina non faceva altro che vivere nell’attesa di quella magnifica creatura che chiamava: “Madre” e a cui si rivolgeva dandole del lei. Lei dal canto suo non riusciva a mantenere con la bambina la sua corazza di impenetrabilità e la sua riservatezza, si ritrovava ad abbracciarla senza motivo, solamente per sentire il calore di quel corpicino, la colmava di ogni attenzione e non finiva mai di raccomandarsi con i parenti circa la salute e l’istruzione della bimba ed in particolare un inverno particolarmente freddo in cui la bambina si era ammalata e stentava a guarire aveva passato tredici giorni e tredici notti al suo capezzale richiamando imperiosamente la famiglia per ogni minimo rumore o ritardo e facendo addirittura chiamare più di un medico per visitarla e trarre conforto dalle positive diagnosi. Solamente quando ebbe la certezza che la bambina fosse completamente guarita abbandonò il “posto di guardia” e riprese la sua vita. Non senza minacce e raccomandazioni di ogni genere. Purtroppo il giorno in cui la bambina compiva dieci anni la “Signora” si ammalò gravemente, il dottore disse che alcuni “disturbi cronici” legati alla sua vecchia “professione” non le avevano lasciato scampo. La bambina fu nominata unica erede dei beni della Signora ma essendo troppo piccola furono affidati ad un tutore che avrebbe dovuto custodirli per lei sino alla maggiore età. Tutore fu nominato il parente della Signora presso cui era cresciuta la bambina e subito le cose cambiarono.


Loshrike.. continua..
Ahamiah
00giovedì 15 giugno 2006 12:22
che dirti....
continua il più presto possibile
ho il fiato sospeso
un abbraccio
sole281
00giovedì 15 giugno 2006 13:36
Tutto riporta a lontane relatà...ciò che scrivi è talmente vivo che prende forma....
ariel.46
00venerdì 16 giugno 2006 08:34
Ho i brividi...
Non vedo l'ora di scoprire il resto...
Caro Losh, i complimenti non servono, ma voglio dirti lo stesso che... sei veramente BRAVO!!!
Un bacio.
Ariel. [SM=x629140]
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