La Processione III° parte..

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loshrike
00venerdì 16 giugno 2006 22:11
In poche parole Elvira fu mandata presso una facoltosa famiglia del paese come sguattera e dei suoi dieci anni, con tutto l’amore e l’affetto della Signora, non rimase praticamente nulla se non lacrime e umiliazioni che la portarono a scappare non appena compiuti i sedici anni e ad intraprendere quella carriera che la Signora aveva in tutti i modi cercato di evitarle. Solo l’aiuto di una particolare persona, di cui parleremo in seguito diffusamente, le permise poi di recuperare quella eredità che le era stata estorta ma ciò non la metteva minimamente al riparo dalle male lingue del paese che avendola “pesata” e “classificata” non ritenevano opportuno valutare nei fatti la sua tragedia, piccola o grande che sia o che in definitiva.. appaia. Comunque tra un “Pater nostro” e un’ “Ave Maria” Elvira si contentava di sopravvivere unico suo cruccio quel bellissimo giovane che da tempo le faceva battere il cuore e di cui non riusciva in nessun modo a non pensare continuamente. Paolo non era poi così bello come la nostra Elvira crede ma si sa che agli occhi dell’amore tutto si vela sotto una luce magica che differenza della realtà corregge i difetti e ammanta il tutto di un alone di mistico trasporto che nulla ha di ragionevole. Come dicevamo Paolo, pur non essendo quell’Adone che Elvira vedeva, era comunque un giovanotto molto ben piazzato forgiato dal lavoro nei campi e pur essendo allergico a libri e scritture era da tutti considerato un buon cristiano. Aveva ereditato dal padre la saggezza contadina, una forza fisica non indifferente ed un considerevole appezzamento di terra che gli dava di che vivere. Era stato un Alpino decorato più volte ma come sosteneva la madre: “… in quella guerra mio figlio ci ha lasciato tutta la sua allegria, non è più lo stesso..”. Paolo dal canto suo a sentire queste parole abbozzava un sorriso, che veramente poco aveva di allegro, e improvvisamente tornava serio ed i suoi occhi si perdevano lontani, nel ricordo degli amici, i compagni d’armi che non erano più tornati ed in particolare una scena proprio non gli dava pace ed anzi spesso la notte lo faceva sussultare nel letto. Paolo aveva combattuto in Grecia e in Albania, era partito con il sorriso sulle labbra, fiducioso che la guerra è di per se stessa una brutta faccenda ma per come gliela avevano raccontata una sorta di passeggiata perché il nemico al solo sentir parlare del Duce scappava a gambe levate. “A noi non resta che farli correre più velocemente che la nostra gente avrà poi i campi da coltivare..” così ripetevano prima il sergente e poi di rimando il signor Tenente ma la squallida realtà lo attese a braccia aperte spegnendo il sorriso sul volto e la speranza nel cuore. Un giorno che si trovava di pattuglia con la sua squadra avevano appena guadato un fiume al riparo di una macchia d’alberi si fermarono a ridosso di una collinetta che impediva la vista. Si fermarono a riposare e in mezzo agli schiamazzi dei soldati gli parve di cogliere un rumore familiare; iniziò ad aggirare la collina e distintamente udì il belare di un agnellino e due voci indistinte che lo chiamavano. I compagni si erano intanto mossi al suo seguito, nessuno secondo gli ordini doveva restare solo, c’era sempre il pericolo di agguati e gli stessi ufficiali non portavano nemmeno le insegne del grado essendo diventati il bersaglio preferito dei cecchini. In breve Paolo si era trovato davanti l’agnellino e non aveva potuto fare a meno di pensare a quella sua casa così lontana, alla madre e al padre e solo le urla dei compagni alla vista di due donne lo avevano scosso dai ricordi. Aveva visto i compagni correre incontro alle due che spaventate si erano date alla fuga e intuendo le loro intenzioni si era dato ad una corsa forsennata cercando di raggiungere i compagni ma impacciato dal fucile era inciampato ed aveva battuto la testa contro un sasso che affiorava dal terreno perdendo completamente i sensi. Quando aveva riaperto gli occhi si era ritrovato il volto del suo amico Peppe che lo fissava lieto che si fosse ripreso, non c’era nessun’altro e nell’aria non si sentiva frusciare nemmeno una foglia. Aveva cercato di alzarsi ma un violento capogiro lo aveva fatto ricadere a terra mentre la vista gli si annebbiava pericolosamente. Udiva Peppe parlare ma non riusciva a distinguere le parole e lentamente di nuovo scivolava nell’incoscienza; si fece forza imponendosi di respirare lentamente e a poco a poco iniziò a riprendersi. “Stai calmo.. hai preso una brutta botta e non ti devi muovere..” ecco cosa Peppe cercava di dirgli ma lui doveva alzarsi, doveva raggiungere le due donne anche se non riusciva bene a comprendere il motivo di tanta urgenza. Riaprì lentamente gli occhi e si accorse di riuscire a vedere chiaramente e si sforzò di parlare, farfugliò qualcosa e Peppe avvicinò l’orecchio al volto dell’amico per cercare di capire cosa stesse cercando di dire. “Le donne..” sussurrò Paolo, “.. corri a raggiungerle.. corri.. io poi arrivo.. sto bene..”. Le lacrime che velarono gli occhi di Peppe chiarirono all’istante la situazione, cercava di parlare ma riusciva solo a farfugliare: “… io non… io sono.. arrivato.. non c’è nulla da.. la guerra..”. Paolo si accorse immediatamente di una forza che gli invadeva il corpo, una lucida determinazione che nemmeno Peppe riuscì più a contenere, facendo leva sui gomiti e aiutato dall’amico si alzò in piedi e barcollando cercò di dirigersi verso la meta che prima non era riuscito a raggiungere. I due camminarono fianco a fianco su un piccolo e quasi invisibile sentiero, Paolo sembrava acquistare sicurezza ad ogni passo e a poco a poco iniziò quasi a correre. Aggirò la collina seguito da Peppe e ad un centinaio di metri scorse una casupola, aumentò il passo e arrivato a pochi metri vide tra l’erba il corpo senza vita dell’agnellino. Corse, facendo appello a tutte le sue forze corse verso la casa, spalancò la porta d’entrata e si trovò davanti agli occhi il corpo di una vecchia, un foro sulla fronte e una pozza di sangue raggrumato si allargava intorno al suo corpo. Percepì dei sommessi rantolii provenienti da un’altra stanza la cui porta d’entrata si apriva a pochi metri da lui, sentiva le gambe che cedevano, sentiva di non poter reggere lo spettacolo che gli si parò innanzi non appena varcò la soglia. Su un piccolo lettino una bambina dell’età apparente di circa 12 anni giaceva scomposta, il vestito ridotto ad uno straccio, l’interno delle cosce insanguinato e il volto livido. Mentre da dietro la casa giungevano gli spari di diversi fucili e gli schiamazzi dei commilitoni, Paolo stravolto prese la bambina tra le braccia che accennò appena una reazione cercando di divincolarsi, uscì dalla casa, sempre seguito da Peppe che non lo aveva mai lasciato, e iniziò una corsa disperata verso il campo base cercando di portarla dal dottore. Quando entrò al campo il dottore non potè fare altro che constatarne la morte. Seguì una breve istruttoria militare che non approdò a nulla se non alla sospensione della paga e delle licenze. Paolo assistette a tutto con una calma glaciale che non aveva riscontri nella sua abituale allegrezza, la vita, quella che lui conosceva, aveva perso ogni significato, in ogni azione di guerra si distinse per audacia e sprezzo del pericolo ma la morte aveva deciso che lui non era il candidato ideale. Nessuno dei commilitoni che commisero la violenza sulla bambina tornò mai alla propria casa, tutti morirono in azioni di guerra e a tutte partecipò Paolo. Spesso le morti si dimostrarono inspiegabili ma nessuno si azzardò ad avanzare ipotesi. Solamente un certo Aldo riuscì ad arrivare al: “cessate il fuoco” ma durante il primo giorno di congedo nella notte si udirono delle urla e poco dopo un violento scoppio. Le indagini appurarono che il militare era stato prima malmenato e poi, una volta legato, gli era stata infilata una bomba a mano in un posto decisamente strano… Paolo arrivò sul luogo dell’assassinio e non fece altro che scuotere la testa, Peppe anni dopo disse che era sicuro di averlo visto sorridere.. forse a sua volta aveva sorriso anche lui. Ecco dunque chi era Paolo, un uomo buono che non poteva soffrire le ingiustizie e mentre sotto il peso della Madonna arrancava per il sentiero polveroso nella sua mente l’immagine della bambina gli faceva pensare al fatto che il Dio in cui lui aveva sempre creduto non poteva permettere una simile atrocità e pur pentendosi di questi dubbi per lui spaventosi proprio non gli riusciva di dimenticare che il male e il dolore sono nella natura dell’uomo e sono talmente venuti a nausea a quel Dio che andava pregando da non poter nemmeno più perdonare coloro che li avevano commessi. Paolo era certo di meritare l’inferno per quello che aveva fatto lui stesso ma non riusciva proprio a pentirsene e nemmeno le parole del buon prete riuscivano a dargli quel conforto che avrebbe tanto voluto e poi c’era anche Elvira e gli occhi con cui lo guardava, aveva sentito le voci sul suo conto ma a lui non importavano, il suo cruccio era di non poter immaginare una vita insieme ad una donna.. e i bambini poi… gli avrebbero per sempre ricordato di aver fallito, di non aver potuto salvare quella creatura innocente. Ultimamente però qualcosa stava cambiando in lui, ultimamente quasi riusciva a non sognare.. “Forse..” si ripeteva.. “.. forse”, ma aveva paura a crederci.


Loshrike... continua..
sole281
00venerdì 16 giugno 2006 22:22
Losh...che dire che già non ho detto...tu sai...
ariel.46
00sabato 17 giugno 2006 00:14
Come ha detto Sole, non ci sono parole...
Continua... noi aspettiamo il seguito...
Posso solo dirti che mi ha commosso tantissimo, mi sembra di sentire il dolore di Paolo, ho un nodo alla gola...
Un bacio.
Ariel.
Ahamiah
00sabato 17 giugno 2006 00:32
leggendo scorrono davanti ai miei occhi
fotogrammi a volte in bianco e nero a volte a colori...
sono sensazioni particolari che ti prendono che ti commuovono
talmente diventano reali..grazie [SM=x629140]
loshrike
00lunedì 19 giugno 2006 21:44
Lieto di leggere sempre i vostri commenti.. non mi resta che coninuare a ringraziarvi..

Losh [SM=x629128]
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