Il periodo sforzesco
Nella seconda metà del Quattrocento, sotto il dominio degli Sforza, Milano vive una stagione di grande fervore economico che vede l’affermazione di nuove colture (riso e gelso) e di nuove industrie, prima fra tutte quella della seta. Con l’aiuto di due validi ingegneri, Bertola da Novate e Aristotele Fioravanti, gli Sforza moltiplicano le attività idrauliche entro i loro domini, sia per migliorare i trasporti, sia per incrementare le loro colture. Il Naviglio di Bereguardo viene migliorato e portato sino alle porte di Pavia. Da qui al Ticino restava però sempre da superare un salto quasi invalicabile di circa 20 metri. Sulla riva destra del Ticino, a scopo difensivo ed irriguo, sono scavati i navigli Sforzesco, Langosco e la Roggia Mora. Si pensa di rendere navigabile il canale per Binasco e Pavia, ma i lavori si interrompono presto o forse non iniziano neppure.
L’opera invece di maggiore impegno degli Sforza è la trasformazione del canale della Martesana in naviglio. Iniziata nel 1464, nel momento in cui Francesco Sforza è al suo apogeo, quest’opera procede speditamente fino alle porte di Milano, superando con arditi ponti-canale i fiumi Molgora e Lambro. Il periodo turbolento seguito all’uccisione di Galeazzo Maria e fino al consolidamento del ducato di Ludovico il Moro, fa interrompere per parecchi anni i lavori, resi difficoltosi anche dal forte dislivello presente nell’ultimo tratto del percorso, tra Gorla e il punto di destinazione: il Naviglio interno a S. Marco. Questi problemi tecnici saranno superati alla fine del Quattrocento con la costruzione delle conche dell’Incoronata e di S. Marco, che consentono alle imbarcazioni di approdare nel nuovo “porto”, che verrà usato sino a questo secolo quando vi arrivavano, per esempio, i grandi rotoli di carta per la tipografia del Corriere.
A questo punto, siamo nel 1497, esiste un sistema di canali navigabili che mette tra loro in comunicazione l’Adda e il Ticino, accostandosi molto da vicino al porto fluviale di Pavia e quindi al Po e all’Adriatico. Lo sforzo compiuto nel corso del XV secolo per realizzare questo programma è stato molto enfatizzato dagli storici di Milano, che hanno considerato quest’opera come un capolavoro che ha precorso le successive grandi opere di canalizzazione realizzate in Francia. Dall’inizio dell’Ottocento, si è cercato di dare un lustro ancora maggiore a tutto ciò attribuendo tutte le realizzazioni idrauliche a Leonardo da Vinci le cui opere di ingegneria erano state appena riscoperte all’Ambrosiana da Carlo Amoretti. Così gli viene attribuita la conca di Viarenna (non era ancora nato!) e i lavori della Martesana, eseguiti in gran parte prima del suo arrivo a Milano. Alcuni addirittura gli attribuiscono la Darsena a Porta Ticinese, realizzata verso la fine dell’Ottocento quando fu demolito quel tratto dei Bastioni. Tra tutte queste leggende, resta solo da verificare quale fu il suo apporto alla realizzazione delle conche di S. Marco e dell’Incoronata, da lui diligentemente disegnate nei suoi taccuini.
Alla caduta degli Sforza, all’inizio del Cinquecento, questo sistema di navigazione interno della Lombardia presenta però due importanti interruzioni che ne limitano molto l’efficacia: il collegamento con il lago di Lecco lungo il corso superiore dell’Adda e il collegamento con Pavia attraverso Binasco. Una volta eliminati questi due ostacoli, Milano avrebbe potuto dirsi davvero una “città acquatica” dotata di un potente porto, ma nel Cinquecento tutto ciò era destinato a restare un sogno. Eppure i tentativi non mancarono. Già Leonardo (quello vero, non quello del mito ottocentesco) aveva studiato il corso dell’Adda da Brivio a Trezzo per cercare la via migliore per collegare Lecco con Milano. Un tentativo più sistematico di affrontare lo stesso problema viene compiuto alla fine del Cinquecento dall’architetto, pittore e ingegnere Giuseppe Meda che nel 1580, a pochi anni dalla grande peste di S. Carlo, firma un contratto con le autorità municipali milanesi per la realizzazione di un canale parallelo all’Adda interrotto da numerose chiuse. I lavori iniziano nel 1591 e proseguono lentamente, con modifiche, crolli e ripensamenti, fino al 1603 quando i lavori sono giunti a Paderno.
Il Trofeo a Porta Ticinese
Sembra un lieto fine, e invece ...
Con le nozze dell’arciduca Ferdinando, il figlio di Maria Teresa d’Austria che si stabilisce a Milano nel 1771 come nuovo e autorevole governatore della Lombardia Austriaca, si chiude il tormentato periodo delle guerre e dei sacrifici economici ed inizia una nuova era, fervida di iniziative che mirano a trasformare il volto della città secondo i nuovi principi razionali dell’Illuminismo. Il problema dei due canali navigabili lasciati a mezzo torna alla ribalta. Milano deve potersi rifornire agevolmente dei materiali da costruzione necessari per il rinnovamento edilizio e sarebbe molto comodo poter disporre a costi minori delle grandi cave di pietra situate sul lago di Como. Così, una delle prime decisioni della corte riguarda il completamento del Naviglio di Paderno, che, grazie alle capacità idrauliche di Paolo Frisi e di altri, viene finalmente avviato e concluso, sicché dopo solo quattro anni, l’11 ottobre 1777, il nuovo Naviglio può essere solennemente inaugurato dall’arciduca. Da allora un fiume di pietre si riversa in città consentendo, tra l’altro, di lastricare la maggior parte delle strade.
Con il Regno d’Italia di Napoleone, trent’anni dopo, sembra che si possa finalmente porre rimedio anche a quel grave difetto di Milano che Bonvesin della Riva riteneva già risolvibile alla fine del XIII secolo: il porto di mare. Il 21 giugno 1805, Napoleone, appena incoronato re d’Italia, decreta che:
1°. Il Canale da Milano a Pavia sarà reso navigabile. Mi sarà presentato il progetto avanti il primo ottobre ed i travagli saranno diretti in modo da essere terminati nello spazio di 8 anni.
2°. Il nostro Ministro dell’interno è incaricato dell’esecuzione del presente decreto.
Neanche i perentori decreti di Napoleone, nel caso di lavori pubblici, sono sufficienti per far rispettare le scadenze. Tuttavia si riuscì abbastanza presto a superare le particolari difficoltà di quest’opera che venne inaugurata dagli Austriaci, di nuovo padroni della Lombardia, il 16 agosto 1819.
Avrebbe dovuto essere un giorno felice. Dopo la tanto attesa conclusione dei lavori del Duomo, anche l’altra opera interminabile, la realizzazione del porto di Milano, sembrava ormai giunta a compimento, ma non era così. Proprio in questi anni i battelli a vapore di Robert Fulton stavano riscuotendo enorme successo negli Stati Uniti per la loro velocità ed economicità soprattutto nella navigazione fluviale. Rispetto a questa grande rivoluzione tecnologica i battellini che percorrevano i nostri angusti navigli sembravano ormai destinati ad un utilizzo marginale. Il porto di Milano avrebbe dovuto essere ben altra cosa! Alcuni milanesi, affascinati dalle novità emergenti, vollero immediatamente rendere evidente questa nuova realtà adoperandosi per realizzare una linea di navigazione tra Milano e Venezia con battelli a vapore. I promotori di questa iniziativa furono Luigi Porro Lambertenghi, Federico Confalonieri e Alessandro Visconti d’Aragona, e il 6 luglio 1820 il primo battello a vapore - l’Eridano - salpò trionfalmente ... da Cremona. Gli eventi politici immediatamente successivi, con l’arreso o la fuga all’estero dei promotori per cospirazione contro l’Austria, interruppe questa impresa pionieristica, che fu ripresa successivamente in altra forma soprattutto come navigazione sui maggiori laghi lombardi, ma ormai il problema del porto di Milano, nel momento in cui sembrava risolto, sparì all’orizzonte come un miraggio nel deserto.
Le acque ctonie
Il nuovo volto neoclassico della città e la sua espansione nel corso dell’Ottocento avviò una guerriglia, lenta da principio, ma poi sempre più incalzante, contro i corsi d’acqua che scorrevano accanto alle strade di Milano, costringendoli a nascondersi l’uno dopo l’altro nel sottosuolo dove formano ancora oggi una misteriosa rete di canali, ignorata dai più, ma percepita dai milanesi come “un altro mondo” raggiungibile solo attraverso passaggi segreti e proibiti.
L’interramento dei canali interni era già stato avviato nel XVI secolo. Dopo il tratto della Vetra che percorreva via S. Vincenzo (o S. Calocero?) e via Gian Giacomo Mora, venne interrato il fossato che circondava le antiche mura romane lungo via Monte di Pietà, via Montenapoleone e via Durini, da un lato, e via Nirone, dall’altro lato. Nei due secoli successivi non si parla più di interramenti, anzi è tutto un fiorire, entro la cerchia dei Bastioni, di nuovi canali, anche di minime dimensioni, che servivano ad irrigare gli orti e i giardini situati tra la cerchia dei Navigli e i Bastioni. La moda dei giardini all’inglese della fine del Settecento portò addirittura alla creazione di molti laghetti preromantici che accentuarono l’aspetto “acquatico” della città. Elemento gradito dell’arredo privato, in questo stesso periodo l’acqua diventa fastidiosa quando è presente nelle vie pubbliche. Si comincia dal borgo di Porta Orientale (corso Venezia) ad interrare l’Acqualunga, segue nel 1838 l’interramento della Roggia Borgognona lungo corso di Porta Tosa (corso di Porta Vittoria) e nel 1857, con rapido colpo di mano, scompare il Laghetto di S. Stefano. Nello stesso anno, tra l’orrore e lo sgomento di molti milanesi, viene presentato il primo progetto per la copertura della cerchia dei Navigli, un’idea che, come sappiamo, andrà definitivamente in porto negli anni 1930 avviando quella lunga scia di pubblicazioni nostalgiche della Vecchia Milano ancora oggi tutt’altro che esaurita.