Senza titolo

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riomareexpress
00martedì 4 aprile 2006 21:45
Ciao, sono nuovo da queste parti. Mi complimento con gli ideatori di questo forum, è davvero fantastico, anche se ci ho messo parecchio per registrarmi. Non so perchè.
Dato che non so cosa scrivere, non so come approcciare con voi, vi mando un mio raccontino, non ha un titolo, non mi va di metterglielo. Scusatemi ,ma davvero non mi va. Ciao a tutti :cicl1: [SM=x629242] [SM=x629232] :rossa: :viol:


Ne avevamo parlato a lungo, io e Giada. Mi aveva detto la verità e io per questo, paradossalmente, sentii di apprezzarla come non avevo mai fatto prima. Era stata estremamente precisa nei particolari; anzi, era andata al di là di ciò che avrei dovuto sapere.
E pensare che una settimana fa stavamo ancora insieme... Eppure non ero arrabbiato nè deluso. Mi sentivo liberato da un peso che era ormai diventato insostenibile e al tempo stesso rassegnato di non poter realizzare tutti quegli stupidi sogni che da fidanzatini ci si prefigge. Era finita.
Disse che stava per arrivare, me lo avrebbe fatto conoscere. Ci teneva davvero che sapessi quanto era bello-bravo-intelligente.
<< E’ un genio in matematica…sai, te l’ ho detto che ho un debole per chi è bravo nelle materie scientifiche>> . Già, in fin dei conti era meglio così; io ero negato sia in matematica sia in fisica .E comunque lui era bello. Faceva palestra tre giorni alla settimana ed era anche un bravo calciatore, anche se giocava solo per hobby. Io, invece, avevo abbandonato lo sport da quando facevo i primi anni delle superiori e avevo coltivato un pancione flaccido che si sovrapponeva a dieci anni di allenamento nei campi di tennis. Non c’era nulla da obbiettare; lui era un gradino al di sopra di me. Giada l’aveva capito e ne aveva tratto le dovute conseguenze, anche se fino ad un mese fa l’avreste sentita dire: <>. Ma questo non importava. Ora Mario stava arrivando e l’avrei salutato con tranquillità, senza nessun rancore e augurandogli tanta felicità con lei.
Era a dieci metri da noi e camminava a passo svelto. Indossava una giacca marrone chiaro sopra ad una camicetta a righe azzurrine. Portava un jeans scuro attillato in modo da esaltare i suoi quadricipiti da mediano e delle scarpe grigio metallizzato con strisce gialle fluorescenti. Aveva i capelli corti pettinati perfettamente; il fantomatico “taglio spettinato”. Ci osservava con un sorrisino idiota e dal suo sguardo sembrava dire a me “Ecco il fallito” e a lei “Dai, muoviamoci con questo coglione; ho casa libera per tutto il weekend” .Ebbi un sussulto. Lo immaginai steso per terra in una pozza di sangue, ma fu per un istante.
Giada si alzò dalla panchina e, sorridendo, mi prese la mano. Poi disse: << Grazie, Samuele. Non pensavo l’avresti presa così. Non lo dimenticherò mai>>. Aspettò una mia risposta,ma riuscii solo ad accennare col capo una sorta di “Stai tranquilla” e a sorridere. Lei la interpretò come una reazione sincera e pensò “Diavolo, è normale che si vergogni un po’!”, per questo non insistette.
<> -bacetto sulla guancia- <>. Gli prese la mano e la porse alla mia. <>.
Ciao, Samuele…ma chi cazzo era?Sembrava la maestra bisbetica delle elementari incontrata al supermercato che, alla vista di mia madre, mi accarezzava il capo per nascondere l’odio che provava per me. << Ciao >>, biascicai. Aveva una stretta poderosa, l’idiota. Lo guardai in faccia. I suoi occhi verdastri mi scrutavano con aria saccente. In quell’istante intravidi, sotto il colletto della camicia, una piccola croce celtica, legata ad una collanina di plastica nera. Di nuovo mi sembrò di vederlo a terra a sguazzare nel suo sangue.
Ma in quale stalla l’aveva preso? Forse alla festa di Betta, due mesi fa, quando io passai la serata a svuotare il serbatoio del mio diesel, riempito a benzina da quell’incapace del benzinaio. Una festa di idioti; anche per questo non andai. Magari si erano squallidamente buttati sul divano a sbaciucchiarsi dopo aver ballato per tre ore a ritmo di cassa-e-rullante-cassa-e-rullante. Oppure si erano incontrati in chat. Ma certo! Lei amava “fare conoscenze” in Rete. Lo trovava divertente. E poi questo avrebbe spiegato il motivo per cui da un po’ di tempo la trovavo ipnotizzata davanti al monitor ogni volta che andavo a casa sua.
“Ma hai deciso di passare la tua vita davanti al PC?”
“Scemo, ho acceso da poco!”
“Ah, ok.” mi limitavo a rispondere.
Ho sempre odiato la chat e l’ipocrisia di quel tipo di conversazione. E non sono mai riuscito a comprendere cosa c’era di divertente nel sentirsi raccontare un mare di balle da uno sfigato (o essere lo sfigato stesso). Avrei potuto capire l’entusiasmo iniziale di chi, ad esempio, si presentava col nome di Marisa pur chiamandosi Armando, definendosi una verginella convinta anche se già padre a 18 anni, ma non sopportavo coloro che passavano pomeriggi interi in preda alla smania di chattare. Mi facevano pensare a quei bambini che, prossimi all’adolescenza, si riunivano in gruppi per osservare un giornaletto pornografico trovato nel cassetto del papà.
Mentre mi perdevo in queste elucubrazioni, il macho mi stava davanti, sorridente come una guardia inglese a cui si pesta un piede. La collanina spiccava in tutto il suo orrore mentre continuavamo a stringerci le mani, senza dire niente. La sua presa non si era attenuata. Mentre mi teneva nella sua morsa, mostrava con un sorriso forzato i denti perfetti e lucidi, frutto di continue pulizie dentali per nascondere il colore giallastro della nicotina. Cominciai ad innervosirmi seriamente. Ebbi un fremito e, inconsciamente, iniziai a stringere. Il suo manone parve dapprima contrastarmi, poi cedette. Osservando Mario negli occhi potei notare un impercettibile segno di incredulità mista a preoccupazione. Durò meno di un secondo, ma ci fu. Stavo per invigorire la stretta, quando sentii una mano posarsi delicatamente sulla mia per prendermela. Era Giada. La guardai, incuriosito da quel gesto. Con un dolce sorriso mi fece un cenno, come per dire “Dai, abbi coraggio”. Aveva intuito il mio stato d’animo , almeno in parte. Distesi i muscoli. Quel gesto affettuoso, carico di dolcezza, mi fece ripensare per un attimo alla nostra storia e ai suoi momenti più significativi. Li rividi tutti in un solo istante; le liti interminabili, le incomprensioni, le scenate di gelosia, i momenti di isteria in cui avrei voluto essere lasciato solo…ma anche le serate in cui, avvinghiati sotto il piumone del mio letto, ci facevamo accarezzare i timpani dalle note soavi del concerto di Koln, le nostre danze sfrenate alle feste di compleanno, le canne fumate sul suo terrazzo, con l’orecchio attento al rombo della vecchia Buick del papà. Era inutile fingersi rassegnato e felice. Mi sentivo da schifo. Soprattutto davanti a quel beota di Mario. Perché mi aveva coinvolto in quella situazione? Non avrebbe fatto meglio a starsene in silenzio col suo nuovo bambolotto di sterco? Dove voleva arrivare? Pensava davvero che l’avrei presa bene,o l’aveva fatto per dimostrarmi qualcosa?
Una ferocia disumana, difficile da controllare, mi colse all’improvviso. Il mio corpo si irrigidì. Lasciai stizzito la mano di Giada, senza nascondere il mio improvviso cambio di atteggiamento verso di lei. Non so se si accorse di quello che stava per succedere. Da allora in poi gli eventi si sarebbero susseguiti disastrosamente. Tuttavia il peggio stava per arrivare. Mario stava per iniziare il suo discorso.
Esordì dicendo che non avrebbe accettato di incontrarmi, se Giada non avesse insistito così tanto . << Non pensavo che l’avresti presa così bene.>> disse subito dopo. “ Che falso”, pensai. Disse anche che probabilmente lui al posto mio mi avrebbe riempito di botte (che simpatico!) e che sarebbe stato felice di essere mio amico e bla bla bla. Io non lo ascoltavo. Lo osservavo con gli occhi semichiusi e iniettati di sangue, le orecchie rosse e cocenti e le narici dilatate. Stavo per intimargli di stare zitto, ma qualcosa mi fermò. Ero ormai in preda al dominio dell’ira. Cominciai a sentire uno strano sapore in bocca. Sembrava quasi che avessi ingoiato la corteccia di un pino. Dovevo vomitare. “…Giada mi ha parlato di te, so quanto ci tenevi….” Sentivo le vene pulsarmi sulle tempie. Sudavo. “ …sai, una volta è successo anche a me. Sono stato male per qualche settimana, ma poi mi sono ripreso…” Cominciò a sanguinarmi il naso. Una goccia mi arrivò alla bocca. La bevvi. Era buona.
“ …Samuele, siediti! Aspetta, ho un fazzoletto…Cosa succede? Giada, chiama qualcuno!” Ma non ci fu tempo per sedermi. Gli sferrai un cazzotto sul naso e lui cadde a terra con un gran tonfo. Poi gli saltai addosso e cominciai a tartassarlo di pugni e schiaffi. Persi definitivamente il controllo di me e mi feci trasportare da una furia cieca e spietata. Il cervello si rifiutava di rispondere. Più tardi un passante, accorso in aiuto dell’idiota, avrebbe detto di aver visto un sorriso malefico sul mio viso. Chissà, forse avevo anche vomitato qualche chiodo…In ogni caso io non mi accorsi di niente. La collera che avevo accumulato negli ultimi giorni era esplosa in una violenza incontrollabile e devastante. Inoltre nessun orgasmo poteva essere paragonato alla sensazione che provavo mentre lo riempivo di botte. Era delizioso quel cozzare delle nostre ossa. Non fu facile fermarsi.
Quando mi ripresi avevo sotto le mie ginocchia un braccio di Mario. Glielo avevo rotto, insieme al naso e a qualcos’altro. Era tutto sporco di sangue. L’occhio destro era semichiuso. Sputava sangue e denti, mentre implorava pietà. Giada urlava e si sbracciava. Piangeva come una disperata. Mi alzai in piedi. Un signore di mezza età stava correndo verso di me. Aveva un ombrello appuntito e lo brandiva come se fosse stato un machete. Mi girai verso destra e vidi un tizio che avanzava minaccioso. Girai le spalle e cominciai a correre.
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