Il pavimento fatto di salumi e prosciutti - le linee scure sono prosciutto, le più rosse sono salame mentre la parte più chiara è fatta di mortadella - che suda più di tutti.
Wim Delvoye: Huckleberry Finn è tornato
di Maurizio Sciaccaluga
Ha tatuato polli e maiali, sostituito la rete di una porta da calcio con la vetrata di una cattedrale, truccato vecchie bombole per il gas da preziose ceramiche di Delft. Wim Delvoye, trentaseienne di Wervik, un borgo vicino Gand, è un ragazzo terribile, l’Huckleberry Finn dell’arte, il degno erede dello spirito caustico di Manzoni. La sua ultima opera, Cloaca, è proprio un omaggio al grande maestro, una riproposizione tecnologica della famosa Merda d’artista. Le sue lettere, invece che la romantica impronta di rossetto delle labbra, portano impressa quella di un sedere. “Ma io non sono un provocatore”, dice. “Mi sento come un virus sano in un sistema malato”.
A differenza degli adolescenti incontrollabili dei romanzi, che tanto gli somigliano, Delvoye non ha mai fatto impazzire gli adulti. “Sono cresciuto in una famiglia della middle class, in un piccolo villaggio”, racconta. “Da ragazzino ero un secchione, un tipo inquadrato. Mi piaceva disegnare, ma volevo studiare legge o economia. Sono stati mio padre e mia madre a iscrivermi all’Accademia di Gand, a insistere perché diventassi artista. Dicevano di sapere cosa fosse meglio per me”. Durante gli studi il giovane non cambia, si distingue per la disciplina piuttosto che per l’irrequietezza. È un nerd, termine gergale inglese che, in Belgio, si usa per definire gli individui più disciplinati, sottomessi e insignificanti. Adorati dai professori e disprezzati dai compagni. Si appassiona a Velázquez, a Rubens e ai pittori fiamminghi, non sopporta il neoespressionismo in voga negli anni Ottanta, troppo innovativo per lui. La scoperta del dadaismo gli fa però capire che i valori cinque e seicenteschi non sono riproponibili all’alba del nuovo millennio, che è giunto il tempo per una nuova rifondazione del sistema dell’arte. C’è bisogno di un altro scossone, tipo quello dato da Marcel Duchamp e Man Ray, e l’ironia e il sarcasmo sono l’arma giusta per colpire le tradizioni accademiche. Delvoye, oramai yuppie mancato, si trasforma, e il suo grande rispetto per le regole diventa in breve humour polemico e rivoluzionario.
Uno dei primi obiettivi che finiscono nel suo mirino sovversivo è la ceramica di Delft. In Belgio e nei Paesi Bassi i manufatti provenienti dal piccolo centro olandese sono considerati autentici capolavori. I vasi monocromi, in azzurro sbiadito, ornati con motivi floreali e mulini a vento, non possono mancare nelle case per bene, e tanto meglio se sono pezzi storici, realizzati nei secoli scorsi. Così l’artista, quasi all’esordio, sul finire degli anni Ottanta prende una serie di bombole per il gas, ammaccate e arrugginite, e le ridipinge come fossero autentici prodotti di Delft. Si tratta di un ready-made duchampiano rivisto e corretto, dove il contrasto tra la forma tutt’altro che nobile e la decorazione falsamente preziosa crea un insieme divertente e irritante. “Ho costruito uno status symbol alla portata di tutti – dice - magari anche utile per riscaldarsi o cucinare qualcosa”. Poiché di solito i vasi sono sistemati sopra un bel centrino all’uncinetto, alle bombole abbina delle seghe circolari, trasformate dal pennello in perfetti tessuti da centro tavola, di dubbio gusto. Spesso sistema una dozzina dei suoi centrini e ceramiche in una vetrina Luigi xvi, ovviamente falsa, che completa la presa in giro del classico salotto borghese. Nello stesso periodo, con il ciclo di opere Penalty, attacca la passione popolare per il football. Toglie le reti alle porte da calcetto e le sostituisce con vetrate finto fiamminghe, con tanto di interni alla Bruegel o santi benedicenti. Come dire, tirate ora le vostre pallonate, se davvero ne avete il coraggio.
I lavori del giovane artista non passano inosservati e nel 1990, appena venticinquenne, è già invitato alla Biennale di Venezia. L’anno dopo è al Castello di Rivoli, dove, nella Project Room, presenta assi da stiro e vanghe dipinte come fossero scudi e stendardi medievali, con gran spreco di torri, spade e grifoni rampanti. “Mi piacciono i secoli bui e la loro ricchezza di simboli ed emblemi”, racconta. La mostra è un successo, e di lì a poco gli apre le porte, o almeno contribuisce a farlo, di Documenta IX di Kassel. Nel 1992, nella manifestazione d’arte più importante al mondo, presenta un pavimento piastrellato il cui motivo ornamentale è l’immagine di escrementi umani, che disegnano per terra una serie di grandi rombi. I benpensanti fuggono inorriditi, il novello Huckleberry Finn ha colpito ancora.
La provocazione paga, e Delvoye diventa una star del firmamento artistico. Partecipa di nuovo alla kermesse veneziana, espone nelle più importanti gallerie del mondo, tra cui Sonnabend di New York. Il lavoro si concentra sui simboli, ma dalle icone medioevali passa a quelle dei tattoo. L’artista sceglie le immagini più amate dai teen-ager, come teschi, cuori, serpenti, le donnine seminude dei marinai, e le fa tatuare su polli spennati e pronti per lo spiedo. Poi su una serie di maiali vivi, sottratti alla macellazione e destinati a una tranquilla e longeva vita da fattoria. Almeno così assicura lui. “Conto sulle malattie e gli avvelenamenti che ogni tanto abbiamo in Belgio: l’afta, il morbo della mucca pazza, la crisi della diossina…”, dice. “Quando i suini moriranno, se sarò ancora vivo, li farò imbalsamare dai migliori tassidermisti d’Europa e li trasformerò in opere d’arte”. In realtà, qualcuno ci ha già lasciato le penne ed è già diventato lotto per le aste. Comunque Delvoye non ha fretta, attende le prossime epidemie e nel frattempo si dedica a proporre, da un museo all’altro, la sua ultima fatica, Cloaca. Un’enorme macchina ipertecnologica che riproduce le funzioni dell’apparato digerente. Compresa la defecazione, vera protagonista dell’opera.
.. atre opere..
.. spero che vi abbia incuriosito..
losh