spruzzi di sogno

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chicom
00mercoledì 9 maggio 2007 08:54

dedicato a ki sa ancora tuffarsi nei sogni, a ki sa sognare e far sognare, a ki riesce a volare, nonostante tutto; è un racconto, forse breve, forse no, forse vero o forse falso, poco importa, sono...

spruzzi di sogno


Cavalcavo ormai da molto tempo, il calore cominciava a trasformare i contorni di quella grande distesa di spazi in indistinti orizzonti fluttuanti, l’aria era tersa, ma troppo carica dell’attesa di raggiungere una destinazione che nemmeno io conoscevo, la prateria nn ha inizio né fine, è indifferente alle regole dei tracciati e dei sentieri, e forse è questo il motivo che mi spinge a immergermi in essa.

Alla fine di una pianura immobile vidi un erpicarsi di vegetazione su un declino leggero, mi diressi verso quell’agognato riparo dal sole, a passo lento, come lento è sempre stato il mio incedere.

Ombrosi contorni di un piccolo bosco si fecero incontro, un ampia radura mi invitava, e così entrai, ed appena gli occhi si abituarono al cambio di luce, subito rimasi incantato da quello che mi si presentava.
L’acqua usciva dalla roccia, dando vita ad un ruscello limpido che formava una piccola cascata scintillante; poi si tuffava in una pozza dai colori del cielo, per poi riscomparire tra le rocce, un piccolo mondo acqueo nel pieno di un’arida prateria.
Scesi da cavallo e osservai il mio viso stralunato sulla superficie del piccolo laghetto, mai avrei pensato di trovare un piccolo eden come questo.

La fresca penombra, il rumore dell’acqua, l’aria satura dei profumi della vegetazione, tutto mi invitava ad un meritato e inaspettato riposo.

Posato ad un albero osservavo con calma il nostro specchiarsi, mosso solo dalla corrente leggera e dal vento, assaporavo ogni istante, così come si può assaporare l’aver trovato qualcosa di perduto, senza aver paura di perderlo nuovamente.

Poi, piano, in maniera quasi rallentata, l’immagine cambiò forma, l’acqua increspava i disegni in modo strano, incomprensibile, restai immobile, alle mie spalle mi parse di sentire un respiro leggero, immaginai fosse il vento tra i rami, nel mio vagabondare ero certo che nessuno potesse essere qui.
Poi ancora, quel respiro costante, l’assenza di vento, feci quale passo in direzione di quello che pareva un invito a capire, girai attorno ad un grosso e antico tronco, e mentre una strana e imprevedibile sensazione attraversava la mia mente, la vidi.

Seduta su una grossa radice, immobile, fissava il lento scorrere della corrente.
Mi fermai ad osservarla, il profilo era enfatizzato dalla luce alle sue spalle, i capelli parevano riflettere raggi dorati.
Lentamente lei si girò, mi avvicinai, la osservai nuovamente mentre si alzava e si avvicinava, i tratti ovali del suo viso su un corpo slanciato mi richiamarono alla mente vecchi ricordi, ma nn fui in grado di capirli, nn potei, subito mi persi nei suoi meravigliosi occhi verdi che mi scrutavano l’anima.

Mentre restavo immobile lei mi disse:
-sapevo ke saresti arrivato, la lunga attesa è terminata-
-chi sei?- risposi, mentre tutto quello che avevo cercato mi passava davanti agli occhi
-sono i tuoi sogni, come tu sei i miei- rispose, allontanandosi dall’ombra e raggiungendo la riva, poi continuò – questa è la mia dimora, qui costruisco il tempo e i desideri, qui puoi vivere l’immaginario, qui puoi restare, oppure no, qui farai la tua scelta-
Incapace di reagire, incapace di rispondere, continuai a guardarla, ad ascoltarla, lei continuò – il tempo è solo un modo di far scorrere gli istanti, qui puoi fermarlo, rallentarlo, o farlo correre a dismisura, qui puoi sfuggire al reale, quando vuoi, e nn sarai solo, ci sarò io –

Non potei nn prenderla per mano, non potei non seguirla, nn potei non tuffarmi nei suoi bellissimi e verdi occhi, non potei impedirmi di cominciare a sognare.


L’aria era tersa, una leggera brezza portava i profumi del verde che ci circondava, il sentiero tra l’imponente vegetazione arborea si perdeva tra la penombra mentre il silenzio ci colpiva, era come un rumore tra il cinguettio degli uccelli, incontrastati signori di quell’angolo di paradiso.

Camminavamo insieme in un nuovo sogno, tra gli alberi di una foresta ancora incontaminata dall’uomo e dal tempo, riempivamo il silenzio con i nostri passi, con i nostri sguardi e con i nostri cuori; il sentiero era dolce, come dolce era il nostro incedere, senza meta apparente, se non la consapevolezza che qualunque fosse sarebbe stata comunque solo nostra.
Poco lontano la foresta si diradava, chiamandoci con la luce del sole che si apriva come fosse un palcoscenico, e nel silenzio la raggiungemmo, bagnandoci nella luce e nel tepore di un leggero sole scozzese.

La collina in lontananza diradava leggera tra una verde pianura che lo sguardo non riusciva a riempire, lungo il crinale un ampio sentiero, interrotto da un placido ponte, portava ad un antico maniero, le cui volte parevano voler accarezzare il cielo, mentre le mura venivano accarezzate, da settentrione a ponente, da un lago dai colori magici, quasi a voler ricordare il luogo dove incontrai per la prima volta la mia compagna di viaggio.

Camminavamo da tempo, e decidemmo che quella sarebbe stata la nostra meta, continuammo così nel nostro andare, beandoci nel tenersi per mano, dell’incrociare gli sguardi a cui immancabilmente seguiva un sorriso, che tutto ci sapeva dire.
Eravamo ormai vicini all’antica dimora che ora pareva, muta e attraente, volesse conoscere i due viandanti, quasi che il luogo percepisse il bisogno di sapere come un mortale potesse portare per mano quei bellissimi occhi verdi.
E io, per mano, portai la mia fata tra le antiche mura.


Varcammo il portone trovandoci in un’ampia piazza dove i glicini inerpicati sulle antiche colonne trasformavano l’ombra in un profumato saluto ai viandanti del fato.
Uno spicchio di luce pareva indicare un’antica soglia, e lì attirati entrammo; scale in pietra dalle curve aggraziate parevano portarci per mano, facendoci entrare in un’ampia stanza fresca, dove la luce pareva divertirsi con gli antichi arazzi dai colori tenui.

Il giorno lentamente andava a far spazio alla sera, e il caminetto sembrava chiamare al suo scopo.
Ceppi stagionati presto iniziarono a brillare, mentre la luce esterna si attenuava sulla vasta pianura dando al lago riflessi dorati.

Lei era ferma alla finestra, come rapita osservava in silenzio le stelle quasi queste le parlassero.
Nei suoi occhi verdi il riflesso delle stelle e del fuoco si mescolavano, rendendo il suo sguardo una visione rapita e allo stesso tempo malinconica, quasi volesse chiedere al cielo di poter volare verso i suoi sogni più segreti.
A farci compagnia il crepitio sommesso del fuoco e i nostri respiri, il nostro tacere pieno di interrogativi a cui un giorno forse avremmo dato risposta.

Mi avvicinai a lei e le presi una mano, la accarezzai salendo lungo il braccio, le scostai i capelli dal viso, per un istante entrammo l’uno nell’altra, i visi sorridevano mentre si avvicinavano lentamente.
Un bacio dolce, lungo, deciso, mentre la mente andava alle stelle, al lago, alla magia dei momenti attesi.
Restammo a guardare assieme la notte arrivare, due figure stagliate nella luce fluttuante di un caminetto acceso, lasciando che il fuoco finisse, per far parte anche noi della fresca e magica notte scozzese.

La luce di un mattino frizzante entò a salutare i due viandanti dei sogni, lui ad osservare l’orizzonte, lei dormiente sdraiata sul letto a baldacchino, la luce che le solleticava il viso le dava un colore particolare, pareva fragile mentre dormiva, come chiedesse di essere protetta dal mondo reale, lei fata che sapeva sognare.

Le sfiorai la guancia con le dita, gli occhi presero ad osservare, ed un suo dolcissimo sorriso ricambiò il mio.
Si sedette e le porsi il vassoio d’argento, dove tra una rosa ed un giglio lei prese la coppa, sorseggiando la sua bevanda di fata.
- ben risvegliata mia signora – le dissi, con un inchino che voleva mimare gli antichi servitori del maniero.
Lei sorrise ancora, e quel sorriso fu il più bel buongiorno che io mortale potessi aspettare.
- i cavalli sono pronti, mia signora, il tempo ci chiama –
Lei annuì divertita, sapeva che avremmo scoperto qualcosa di nuovo, e in poco tempo fummo pronti, salimmo a cavallo e ci preparammo ad uscire dal castello, in lontananza l’alba ci chiamava con i suoi giochi di luci radenti alla prateria.

Passato il ponte sul lago ci dirigemmo verso est, verso l’alba, e galoppano felici, certi che ci saremmo immersi in un nuova avventura, sperduti nel tempo in una nuova dimensione, in un nuovo splendido sogno.

(continua)

chicom © by chicom 2007
maiam3
00mercoledì 9 maggio 2007 13:29
maiam3
00mercoledì 9 maggio 2007 13:32
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maiam3
00giovedì 10 maggio 2007 17:48
...AVER TROVATO QUALCOSA DI PERDUTO SENZA AVER PAURA DI PERDERLO NUOVAMENTE... [SM=g27822]
[SM=x629209]
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