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Realtà, narrazione e vita psichica
Spesso riesce difficile credere che la conversazione possa aprire la porta ad una nuova realtà, permettendo di superare problemi che ci si porta dietro da anni.
E' ancora più difficile ritenere più importanti le parole piuttosto che i fatti che, essendo tangibili e concreti, sembrano offrire maggiore sicurezza e stabilità nel tempo; tuttavia il ponte che collega la realtà alla mente è fatto di parole che mediano l'attribuzione di significati.

Per comprendere meglio come la narrazione abbia maggior peso nella vita psichica rispetto alla realtà oggettiva, occorre approfondire la concezione fondamentale secondo cui non è possibile una descrizione oggettiva del mondo.
Tale affermazione può far sorridere chi pensa di poter descrivere dettagliatamente un oggetto, che sia una sedia, un computer, una bottiglia o altro.
Tuttavia basterebbe utilizzare anche un oggetto molto semplice da porre sotto gli occhi di diversi osservatori che in seguito, chiamati a descriverlo, ne forniranno una rappresentazione estremamente soggettiva e spesso unica, sottolineandone alcuni dettagli piuttosto che altri.
La situazione si complica se si parla di elementi più astratti, dinamici e numerosi come quelli che costituiscono le storie, i quali possono subire delle trasformazioni estremamente complesse osservabili direttamente se si prova a realizzare il classico gioco del "telefono senza fili" in cui a turno, dal primo all'ultimo partecipante, si prova a trasmettere il senso di una storia inizialmente letta (un'ipotetica "realtà") e confrontabile con l'ultima versione riportata che abitualmente è connotata da numerose distorsioni.
In questo gioco ognuno riporta la narrazione della persona precedente, ma anche se tutti leggessero la stessa storia simultaneamente, ne fornirebbero versioni diverse che tenderebbero a sottolineare alcuni aspetti rispetto ad altri.
Tale fenomeno è stato sintetizzato da J. Bruner (1987, 1991), che ha approfondito il rapporto tra esperienza ed espressione della stessa; secondo l'autore narrando si impone arbitrariamente un significato sul flusso della memoria, evidenziando alcune cause e trascurandone altre.
Di conseguenza, nessuno ha un accesso privilegiato alla definizione della realtà e la stessa esperienza può essere interpretata e descritta diversamente, con conseguenti atteggiamenti psicologici interni o esterni differenti. Se così non fosse le nostre vite sarebbero copie parziali l'una dell'altra e reagiremmo ugualmente agli stessi eventi. Ma ciò non accade.Si consideri un fatto sociale oggettivo, costituito, ad esempio, da una spinta ricevuta da uno sconosciuto mentre si sta passeggiando in una via della nostra città. Le narrazioni che possono nascere rispetto a questo evento oggettivo non sono mai "cronaca", ma sono arricchite da interpretazioni, da precedenti personali e da vissuti emotivi.Il protagonista urtato potrebbe raccontare che il personaggio che lo ha spinto era distratto dai suoi acquisti e che non si è accorto di lui facendo poca attenzione a rispettare i suoi spazi; se le sue storie di vita precedenti hanno narrato spesso una scarsa considerazione nei suoi confronti, probabilmente penserà che si sia trattato di un'ennesima disconferma di sé.
Un amico che passeggia vicino al soggetto in questione potrebbe narrare una storia molto diversa sulla stessa realtà, affermando che lo sconosciuto sembrava avere un malessere e probabilmente riusciva a farsi difficilmente spazio tra la gente mantenendo un buon equilibrio.
La realtà di partenza è la stessa, ma le sue versioni e le conseguenze psicologiche possono essere estremamente variabili da individuo a individuo.