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La fuga

Ultimo Aggiornamento: 06/12/2005 10:32
22/10/2005 17:12
 
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Un invito è un invito... vero loshrike? [SM=g27822]
Però questo è dell'anno scorso, è più lungo e non so quanto riuscito, forse anche un tantino "pruriginoso", ma giusto un tantino.
E' volutamente senza alcun dialogo, e già mentre lo scrivevo mi sono resa conto che potrebbe benissimo essere una traccia per un romanzo... che sicuramente non scriverò mai.
Scrivo solo one shot... l'unica cosa lunga che ho in cantiere ha i permessi di costruzione scaduti da 10 anni... e siamo solo alle fondamenta [SM=g27825]


Coyllar corre per salvarsi la vita.

Probabilmente non ci riuscirà, ma é la sua unica possibilità, e non intende arrendersi senza nemmeno provare, anche se la tentazione è grande. Non dopo aver passato tanto tempo a fuggire e nascondersi. No, certo, non dopo aver dovuto rinunciare a tutti i rapporti personali, le amicizie, le conoscenze, dopo essersi dovuta spogliare di tutto.

Chi vive in fuga deve viaggiare leggero, sempre pronto a prendere il largo al minimo accenno di pericolo. Il bagaglio, fisico e mentale, intralcia, ritarda, può essere fatale. Le amicizie, le persone che ami e stimi, possono essere usate contro di te. Non attaccarti a nessuno, e non sarai attaccato… Una ben misera vita, a pensarci. L’unica possibile, da troppo tempo.

Da qualche minuto, Coyllar corre. I movimenti regolari, sorvegliati come il respiro, così importante in chi si appresta ad uno sforzo prolungato, la portano sempre più avanti nel labirinto di stanze e corridoi, in parte sotterranei, della base abbandonata di Segesta. Dietro di lei, lo sa, c’é Wander. C’é da mesi.


Coyllar non si era sempre chiamata così. Nell’infanzia, era Rowena, e quelli che credeva essere suoi genitori e zii, per proteggerla, l’avevano cresciuta senza dirle nulla. Avevano viaggiato molto, abitato in molti luoghi. Quando era ormai una ragazza, un’epidemia di influenza l’aveva lasciata orfana. Erano morte molte persone, nel piccolo insediamento agricolo dove stavano da un paio d’anni. Non molto tempo dopo, i suoi vecchi zii si erano rivelati per essere, invece, antichi dipendenti dell’imperatore. Suo padre. Un giorno le avevano raccontato che riguardava proprio lei, la storia incredibile di imperatori e congiure, traditori e massacri. Le avevano detto che era la legittima erede della casata dei Reeden. Era l’unica scampata allo sterminio della sua famiglia perché rapita da pochi servitori fedeli nel giorno della carneficina, che era anche quello della sua nascita, e tenuta nascosta. Piangendo al pensiero di quel giorno spaventoso, avevano ricordato il suo gemello, che non erano riusciti a salvare. La sua morte aveva però soddisfatto i segugi, ignari del fatto che i bimbi fossero due.

Avrebbero continuato a nasconderle tutto il suo passato, se il segreto, così a lungo gelosamente custodito, non fosse in qualche modo trapelato. Giravano voci, improvvisamente, voci circostanziate. Un traditore? Una bocca inavvertitamente aperta troppo durante una sbornia? Nessuno lo avrebbe ammesso, e il colpevole poteva essere già morto. Ma ormai la sua esistenza non era più un segreto, e la sua vita sarebbe stata sempre in pericolo.



Coyllar continua a correre, scendendo ed addentrandosi nella vecchia costruzione . Per quanto sia ancora lontana dall’essere stanca, comincia ad avvertire la tensione. Dietro di lei c’è Wander, sempre alla stessa distanza. E sa anche perché. Lui è più alto, più veloce, più resistente, lo sanno entrambi. Per quanto gonfiate dalla propaganda, le sue imprese hanno fatto il giro di tutti i notiziari radio. Già, la radio, una delle poche vestigia sopravvissute ad un epoca d’oro finita tanto tempo fa, assieme a motori a scoppio, ma solo per i ricchi e per servizi pubblici, armi da fuoco, e poco altro.

Ma Wander è anche un tipo prudente, sa che lei non può più realmente scappare da nessuna parte. Certo preferisce concludere l’affare quando sarà sfinita e, presumibilmente, meno capace di creargli guai. Non dev’essere armato, o le avrebbe già sparato. Sarà giustamente convinto di avere la meglio in un corpo a corpo: suo padre ne ha fatto una macchina bellica, una specie di dio della guerra. Potrebbe raggiungerla in qualsiasi momento, ma non lo fa, e per questo motivo Coyllar deve continuare a correre più veloce che può, perché nel momento in cui rallenterà, Wander le salterà addosso e sarà finita…


In un paio di giorni i suoi “zii” avevano organizzato la sua e la loro fuga. Trasferiti di fretta in una città vicina, avevano racimolato piccoli gruzzoli nascosti, contattato vecchi amici per avere documenti e poche armi. Ma queste ultime Coyllar aveva esitato ad accettarle: non sapeva usarle, non era sicura nemmeno di volerle usare, e soprattutto era difficilissimo viaggiare armati. La prima volta che fosse salita su qualsiasi mezzo di trasporto avrebbe dovuto abbandonarle: solo ai militari era concesso tenere le armi di servizio, e i controlli erano molto efficaci. Alla fine, dopo mille ripensamenti, aveva ceduto alle suppliche, perché non solo dagli scagnozzi dell’imperatore avrebbe dovuto difendersi, scappando. Così ne aveva accettata una sola, ascoltando attentamente le istruzioni per usarla. E aveva confidato che l’aspetto non la denunciasse subito per quello che era.

Avevano sperato che, dividendosi, avrebbero attirato meno l’attenzione. Così Coyllar aveva cominciato a peregrinare da sola e senza meta, scegliendo le destinazioni a casaccio, lavorando dove poteva, cambiando nome se possibile, e cercando di non dare nell’occhio. Ma era difficile, molto difficile: non era certo addestrata a sfuggire ad occhi vigili! Il sistema capillare di delatori messo in piedi dalla Casa Whit per tenere sotto stretto controllo la popolazione ed eventuali rivoltosi era praticamente ovunque. Gli usurpatori sono sempre paranoici, e questi non erano diversi dagli altri.

Reynard Whit, il generale che col sostegno dell’esercito aveva cospirato contro il suo imperatore, organizzando il massacro, aveva instaurato un regime di terrore. Le alte sfere dei militari, in cambio di congrue concessioni, l’avevano appoggiato, e la bassa forza ovviamente aveva obbedito. Da allora la morsa del regime non si era mai allentata. Il tiranno non poteva sentirsi tranquillo: troppo era dipeso dalle gerarchie militari, e ancora su di esse si reggeva il suo potere. Al minimo accenno di disordini, poteva fare la fine del suo predecessore…

Poi, gli erano arrivate le voci sul conto di Coyllar. Poteva essere una mistificatrice, ma era pericolosissimo, per lui, che anche solo si parlasse della sua possibile esistenza. E Sua Altezza Imperiale aveva sguinzagliato sulle sue tracce il figlio Wander, la cui educazione tattica e militare aveva personalmente curato. Per fare le cose presto, e bene. E, soprattutto, il più silenziosamente possibile.



Che cosa terribile, continuare a correre così… per quanto molte energie e attenzioni siano dedicato proprio all’atto stesso della corsa, ne restano sempre troppe per pensare ad altre cose.

Alla prima volta che Wander le é arrivato abbastanza vicino da riuscire quasi a prenderla, per esempio. Quasi, ma solo per un soffio. Dall’angolo in ombra, nella luce fioca della taverna dove lavora, l’ha visto per un attimo scrutare i visi di tutte le donne presenti. E’ stata fortunata, a trovarsi lì proprio mentre lui è entrato…

La cerca tenacemente, e deve avere ben impresso in mente il suo volto, perché non si aiuta con immagini di sorta. Anche lei conosce a memoria il suo senza bisogno di aiuto. Conosce la sua figura, gli abiti sempre neri, i suoi capelli scuri, il naso imperioso, gli occhi di ghiaccio… e la linea dura della sua bocca, ora stretta nella concentrazione, ma che sarebbe facile immaginare schiudersi in un sorriso o anche in qualcosa di diverso. E conosce la sua voce…

E’ un attimo: sgattaiola fuori da una porticina, e fugge nelle stradine male illuminate. Per un soffio riesce a prendere l’ultima corriera della sera. Forse nessuno l’ha vista salire. Dove va? Quante fermate fa? Non lo sa, e non ha importanza. Se ne curerà all’arrivo. E’ salva, ancora per un po’.

Ma quando, finalmente al sicuro, sia pure momentaneamente, può dormire, il suo sonno è tormentato da sogni inquietanti. Un buio impenetrabile, spesso, in cui non riesce a vedere chi sia l’uomo che la sta baciando, accarezzando, risvegliando in ogni piccolo nervo, tormentosamente. Le mani che muove per rispondere all’assedio stringente seguono contorni che ci sono, ma che non può scorgere, una pelle calda e liscia che copre muscoli guizzanti, e la deliziosa gabbia di braccia potenti. E il peso, sente su di sé il peso come mai l’ha sentito, il suo respiro, la sua bocca riempire di brividi la pelle sensibile del collo e scendere sempre più giù – così lentamente, oh! così lentamente! – per arrivare finalmente al capezzolo e lì fermarsi, con insistenza crudele. E quando la pressante richiesta delle sue parti più intime la fa inarcare verso quest’ombra, cercare un contatto più profondo, un sollievo al suo delizioso supplizio, è proprio lì, al momento del risveglio, che per un attimo si diradano le tenebre e scorge il suo amante mentre l’ansito diventa preghiera e poi doloroso gemito: Wander!


Il notiziario aveva annunciato l’arrivo del principe ereditario Wander Whit e del suo ridottissimo seguito nella piccola cittadina di Segesta. Anche lui, per essere veloce, era costretto a viaggiare leggero. Avrebbe certamente preferito da solo, ma per etichetta e sicurezza non era proprio possibile. Il suo viso era troppo noto, e se veniva riconosciuto non poteva viaggiare che in modo formale. Che fosse così conosciuto, almeno, giocava a favore della sua preda.

Il suo arrivo era sicuramente una sorpresa per gli abitanti della cittadina, ma certo non per Coyllar. Già dopo la seconda volta che si era vista raggiungere, non aveva più creduto all’annuncio ufficiale che il principe avrebbe effettuato un viaggio nelle province, anche in quelle più sperdute di periferia. Itinerario? Segreto, qualunque città avrebbe potuto ricevere l’onore della visita. Ma Coyllar sapeva che, se non fosse riuscita a depistarlo, tale dubbio onore sarebbe toccato solo ad un luogo che la ospitasse. Ed era molto, molto difficile che accadesse.

La sua fuga stava volgendo alla fine, e lo sapeva. Non sempre i posti dove si rifugiava avevano collegamenti regolari verso insediamenti importanti. Molto spesso erano serviti solo da pullman o treni locali, con corse e orari limitati, che influenzavano le sue mosse future e le rendevano più prevedibili. Non aveva potuto farci niente: a volte l’impellenza della fuga non le aveva lasciato nessuna scelta. Altre volte la necessità di guadagnare qualche soldo l’aveva costretta a fermarsi anche quando avrebbe preferito viaggiare. E non voleva rubare.

Nelle notti spesso insonni, sdraiata su scomode brande in locande da poco prezzo, o nel retro di qualche bottega che le aveva offerto un lavoro malpagato, aveva cercato una soluzione al suo problema. Non l’aveva trovata, perché non c’era.

Almeno, poteva aspettarsi una fine rapida: Wander non aveva fama di essere crudele, ma solo efficiente…

Non avrebbe rinunciato mai, e la tallonava sempre più da vicino. Ne sentiva sempre, angosciante, la presenza. Provava spesso l’impulso di girarsi di scatto, sicura che sarebbe stato lì, e che sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe visto. Nero e letale. Inesorabile. E bellissimo. Coyllar non aveva mai visto un uomo così bello. E così conturbante.

In realtà aveva avuto a che fare con ben pochi uomini, da quando aveva cominciato ad apprezzarli: prima era stata nel piccolo insediamento agricolo, poi in perenne fuga.

Il pericolo continuo mette il fuoco sotto la pelle… Si scopriva sempre più spesso a fantasticare su come avrebbe potuto essere se Wander non l’avesse cercata per ucciderla. Su come avrebbe potuto essere il suo tocco. Il sapore della sua bocca, della sua pelle. La sapienza delle sue mani sul suo corpo… e si girava nel letto, senza requie. Ormai cominciava a temere il momento del sonno, perché i suoi sogni erano spesso tormentosi, e i risvegli madidi di sudore e sensazioni implacabili.

Finché una sera si era accorta che, già da un po’, si stava accarezzando nel buio, col suo viso negli occhi. Era durato solo un attimo, il fremito di orrore, prima che si arrendesse. Poi, le mani si erano dirette coscientemente là dove sapeva che le avrebbero dato più piacere… e da quella notte, se non le veglie, almeno i suoi sonni erano stati meno dolorosi.



Ora Coyllar comincia a sentire la fatica. Non potrà continuare a correre così ancora per molto. In un modo o nell’altro, tutto sta per finire. Potrebbe addirittura essere un sollievo. Niente più paura. Niente più fughe precipitose col cuore in gola. Niente più ossessione. E’ pronta come mai potrebbe esserlo. Ha fatto tutto quello che poteva fare.

Intorno a lei continuano a sfrecciare le pareti metalliche dei corridoi e delle stanze della vecchia base militare di Segesta. Per qualche oscura ragione che non comprende, le porte sono tutte spalancate. Chissà quante volte è ripassata nello stesso punto… ma non ha importanza. Ha provato, senza troppa convinzione, a fare qualche giro strano, ma senza riuscire ad ingannare Wander. Lui si è limitato a seguire le sue impronte nella polvere vecchia di decenni. Sempre alla stessa distanza.


Non aveva avuto fortuna. Quel giorno non era previsto il passaggio di alcun treno, e il pullman pomeridiano non aveva potuto partire da Segesta per un guasto al motore. Nel suo peregrinare, Coyllar era finita in un vicolo cieco… Né poteva sperare di ottenere un passaggio verso un paese vicino da qualche carrettiere. Piuttosto, sembrava che gli abitanti del circondario stessero convergendo nella cittadina, attratti da un personaggio così importante e dalla speranza di una qualche cerimonia. Quando mai avrebbero ricevuto nuovamente una simile visita? La vita era talmente noiosa, ai margini del mondo…

Così la giovane si era fatta bella, per quanto le era stato possibile nella fretta. Si era lavata velocemente e aveva messo abiti puliti e un filo di rossetto, perché la morte bisogna guardarla a proprio agio, per poterle ridere in faccia…

Ma lei voglia di ridere non ne aveva proprio.

C’era una mulattiera, ormai poco più che un sentiero, che andando ad est conduceva in pochi minuti ad una vecchia base militare, e poi al villaggio di Scub. Un tempo, quando Segesta era ancora importante, era una strada trafficata. Quando c’era in permanenza una grossa guarnigione imperiale a guardia dei confini. Quando… altri tempi.

Coyllar si era incamminata a passo svelto verso Scub.

Dalle finestra della camera, Wander l’aveva vista. O meglio, mentre abbottonava la sobria uniforme nera, dopo il bagno, aveva visto in lontananza una figuretta solitaria camminare per un sentiero, ormai in cima a una collina. Si era precipitato giù per le scale, perché non aveva avuto bisogno di alcuna conferma. Lo sapeva: era lei. Aveva slegato il primo cavallo che aveva trovato per strada, e si era gettato al suo inseguimento. Il proprietario della bestia si era guardato bene dal protestare. Se anche non avesse riconosciuto il principe, le labbra arricciate sui denti scoperti e l’impeto forsennato gli avrebbero sconsigliato qualsiasi iniziativa.

Solo quando era ormai arrivato a metà collina Wander si era reso conto di aver dimenticato, nella fretta, le sue armi in camera, ma aveva alzato le spalle: non gli servivano.

Arrivata quasi all’altezza dell’antica base, Coyllar aveva provato una di quelle sensazioni irresistibili, che ormai aveva imparato a conoscere bene. Si era voltata e aveva visto in lontananza qualcuno arrivare al galoppo… Non aveva avuto bisogno d’altro, per riconoscerlo. Un rapido calcolo le aveva fatto capire che avrebbe potuto arrivare al massimo fino al vecchio edificio prima di essere raggiunta. Era la sua unica possibilità.

Aveva cominciato a correre.



E’ doloroso, adesso, correre. Le gambe sono pesanti, i polmoni protestano, il cuore martella, la gola è riarsa. Il passo non è più lo stesso, lo sente. E anche Wander, sicuramente, se n’è accorto. Dell’ansito sempre più forte. Di quel piccolo inciampo. Di quella lieve sbandata. Di quel leggero rallentamento. Il lupo fiuta la stanchezza della preda e sa quando è il momento di azzannare…Intanto, i suoi giri l’hanno portata in un corridoio che non ricorda. Eppure l’ha già percorso, anche se una volta sola. Per forza, è quello che conduce all’uscita! Ma ormai è troppo tardi, deviazioni non ce ne sono, e indietro.. indietro non si torna! Coyllar sente accelerare il passo dietro di sé, proprio mentre sbuca nel sole, e con un moto di terrore cerca di fare altrettanto, ma non ha più riserve. Il piccolo scatto serve solo a far cambiare la presa al suo inseguitore, che si è scagliato su di lei. Invece di investirla col suo slancio all’altezza delle spalle, la abbranca alle ginocchia, la fa cadere. Con un grido, lei rotola, scalcia, ma già lui le è sopra e la schiaccia sull’erba, con tutto il suo peso. Ansimano. Coyllar sente le sue mani sul collo, e capisce che la strangolerà. Vorrebbe reagire, ma non ce la fa: tra l’affanno della lunga corsa e il suo peso addosso riesce a malapena a respirare, e fra un attimo non potrà più fare nemmeno questo.

Ma visto così da vicino è ancora più bello. La sovrasta e così, arrossato per lo sforzo e ansante, sembra appena uscito da una delle sue fantasie…

Dalla nebbia del suo trionfo Wander sente giungere un gemito. Neanche con la migliore buona volontà potrebbe essere scambiato per un gemito di dolore o di paura. Guarda la ragazza che sta per uccidere. E’ molto bella, anche così stravolta dalla fatica. E lo guarda come se lo amasse. Dritto negli occhi. Nei suoi occhi di ghiaccio. Non si difende, non si muove, non fa nulla. Respira a singhiozzi, con la bocca semiaperta, e lo guarda. E Wander ricorda tutte le volte in cui si è sorpreso ad ammirare una giovane senza esperienza che nonostante tutto riusciva a tenergli testa. Tutte le volte in cui il suo volto l’ha perseguitato, giorno e notte, mentre la cercava ossessivamente in ogni donna che vedeva. Tutte le sere in cui, fra le braccia di un amore mercenario, ha chiuso la luce per non vedere chi fosse veramente nel suo letto.

Coyllar guarda quegli occhi così azzurri, così chiari, e così fissi nel loro intento omicida. Fra un attimo sarà finita… Ma nella fissità di quello sguardo compare come un tremito, l’ombra di una battaglia che si stia combattendo, da qualche parte. Che Wander sta combattendo. E perde.

Con una specie di ruggito, le imprigiona i polsi con una mano e glieli porta violentemente sopra la testa, mentre si abbatte sulla sua bocca e la bacia. La bacia! Non è un sogno, stavolta, le labbra che sente sono le sue, la lingua che le fruga la bocca è la sua, è suo il peso che la schiaccia, è sua la mano che armeggia con la sua camicia! E’ troppo… piccoli gemiti le sfuggono involontariamente mentre si abbandona al suo assalto. Quanto l’ha desiderato! E ora è qui, e il suo odore è eccitante proprio come aveva sognato, mentre il bacio si fa sempre più profondo, esigente… lingue che esplorano, denti che titillano, tirano… che si piantano nel labbro di Wander quasi con ferocia, tanto da fargli uscire il sangue. Ma anche questo è piacere e lui quasi non se ne accorge: la sua mano ha raggiunto l’obiettivo. Coyllar si inarca sotto quella mano calda che le carezza il seno, perde cognizione del luogo, del tempo, di sé, di come e quando lui sia riuscito a togliersi la giacca, a togliere a entrambi i pantaloni… Perché, perché è venuto per ucciderla, perché è figlio di suo padre, perché, perché? Tutto il suo corpo grida che lo vuole, adesso, ora, subito! Sfinito, sfibrato, lacerato da mille sensazioni insopportabili, sconvolto da distanze che vorrebbe eliminare, da vuoti che vorrebbe riempire, urla tutto il suo desiderio, la sua necessità imperiosa. Ma non sarà soddisfatto.

Il veleno contenuto nel rossetto ha fatto il suo lavoro e Coyllar vede il viso di Wander alterarsi in una smorfia di dolore. Il giovane si lascia cadere di lato, mentre la bocca spalancata sembra cercare aria. Ma non ne troverà più.

Fra le lacrime, Coyllar lo guarda morire. Non le succederà niente: lei non ha un graffio, e ha preso prima di fuggire una delle pilloline di antidoto contenute nel tubetto del rossetto…

C’è tanto silenzio, ora. Non si sentono passi. Non ci sono ansiti, o gemiti. Non si sentono nemmeno uccelli, o cicale. C’è solo silenzio.

Ma non pace.


Lorenpara
23/10/2005 01:31
 
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Niente male, Mrs Bobbit...
Mi ha fatto ripensare, anche se in chiave molto diversa, a "La decima vittima" di R.Sheckley...
E non è certo un paragone squalificante...
05/12/2005 10:03
 
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maestro
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In effetti, leggendo attentamente, credo che Effeci61 abbia ragione.. anche a me il tuo racconto ha dato la stessa impressione.. comunque complimenti.

Losh
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Siamo realisti, esigiamo l'impossibile (Ernesto Che Guevara)
05/12/2005 13:04
 
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accipicchia... grazie, ragasssi [SM=g27822]
A questo punto mi sa che mi tocca andarmi a cercare questo racconto, la curiosità punge!
06/12/2005 10:32
 
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maestro
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Re:

Scritto da: paranoimia 05/12/2005 13.04
accipicchia... grazie, ragasssi [SM=g27822]
A questo punto mi sa che mi tocca andarmi a cercare questo racconto, la curiosità punge!



Senza dubbio è un libro che merita veramente di essere letto..

Losh [SM=g27823]
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Siamo realisti, esigiamo l'impossibile (Ernesto Che Guevara)
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