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SI DICE CHE......

Ultimo Aggiornamento: 03/09/2006 14:37
03/09/2006 14:26
 
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Alessandro Volta e la sua “scoperta”

Come fisico autodidatta fu inventore della pila, ed autore degli studi che portarono allo sfruttamento pratico dell’energia elettrica.
Alessandro Volta, uno dei più famosi scienziati del mondo, avrebbe lasciato all’insaputa dei più anche una profonda impronta nella gastronomia italiana.
Si narra, che di ritorno dalla Francia, dopo uno dei suoi tanti viaggi di studio, avrebbe portato in dono alla famiglia uno strano regalo.
Era una cosa di forma ovoidale, dal colore marrone e dall’aspetto poco invitante.
A seguito dell’indifferenza dei suoi cari, spiegò loro che quello era un ortaggio commestibile, dal sapore dolciastro, di facile produzione, apprezzato alla mensa dei francesi, e che si chiamava “pomme de terre” o patata .
La passione di Volta nei confronti della sua scoperta orticola, si sarebbe successivamente manifestata anche durante un incontro scientifico, dove l’avrebbe presentata al mondo accademico senza però ottenerne l’attenzione.
Nonostante il disinteresse generale, il grande fisico spinse comunque i suoi contadini a coltivare e consumare la patata, contribuendo così, secondo alcuni in maniera determinante, alla sua diffusione in Italia.
03/09/2006 14:29
 
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Streghe o donne d’erbe
Le erbe che nutrono, curano e uccidono, hanno sempre avuto un rapporto molto stretto più con le donne che con gli uomini. Erano infatti le donne delle comunità agricole e pastorali che aveva il compito di cercare e raccogliere i prodotti offerti spontaneamente dalla grande madre natura. La cucina delle erbe improntata soprattutto sui prodotti stagionali, costituiva l’unico alimento-medicamento per le classi povere, che perciò attribuivano alle donne d’erbe un ruolo privilegiato. Durante il '300, l’insicurezza collettiva suscitata da carestie, peste e rivolte, provocarono una vera e propria lotta contro la stregoneria, facendola diventare il “capro espiatorio” a cui attribuire l’origine di ogni male. Furono allora classificate come streghe le moltissime donne che conoscendo le “virtutes herbarum” (raccogliere le erbe giuste nei periodi più idonei in modo da non vanificarne le potenzialità), avevano l'accesso ad un mondo misterioso e perciò "demoniaco". A sancire un regolamento sull’attività terapeutica e l’uso delle erbe fu il Concilio di Trento (metà ‘500), che con le “Costitutiones” bollò come superstizioni gran parte delle cure fino ad allora adottate dal popolo. Con questo metodo si creò una frattura tra la medicina popolare esercitata soprattutto dalle donne, e quella accademica esercitata soprattutto dagli uomini.
Insomma, le donne d’erbe, furono trasformate nelle demoniache “streghe”, perché usurpavano un sapere che nobili e religiosi non potevano lasciare al popolo.

03/09/2006 14:32
 
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Mediterraneo crogiolo di tradizioni alimentari
Il bacino del Mediterraneo è un’ampia depressione circondata da montagne, con strette pianure fertili dove prevale un suolo poco fertile; uno spazio più favorevole alla pastorizia transumante che all’agricoltura permanente dei terreni.
Tre grandi penisole e un insieme di isole dividono in compartimenti le sue acque facilitando la navigazione, la pesca e il commercio.
Fin dal Neolitico, le rive del Mediterraneo hanno costituito la meta migratoria di popoli provenienti dall’Asia, dall’Africa e dall’Europa, che qui hanno cercato condizioni di vita migliori, contribuendo all’arricchimento comune.
Già i Greci influenzarono profondamente la cucina degli Etruschi e dei Romani (pane, vino e olio), ma sarà tra il V e il XV sec. che nel Mediterraneo si formerà un nuovo modello gastronomico: per le migrazioni germaniche, l'affermarsi della corte di Costantinopoli e l’espansione islamica.
Alla cultura del pane, del vino e dell’olio, ripresa e rafforzata dal cristianesimo, i germani apportarono l'uso massiccio di carne (soprattutto maiale) e grassi animali.
Invece dal Medio Oriente e dall’Africa giunsero nuove piante e nuove tecniche agricole: zucchero, riso, arance, limoni, albicocche, melanzane e spinaci. Arabi e saraceni riproposero in modo meno esclusivo l’utilizzo delle spezie (zafferano in primis), dell'agrodolce, delle mandorle (marzapane), introducendo anche l’uso della pasta secca.
Nel Medioevo il moltiplicarsi di una specie di almanacchi chiamati “Tacuinum sanitatis” (“taqwim” origine araba) traduzioni di opere di dietetica, sono una chiara espressione di questa cultura degli scambi, rintracciabile anche nei ricettari dei vari paesi (XIV-XV sec.) con numerose preparazioni simili: alla genovese, alla catalana, alla tedesca.
La corte europea che forse meglio rappresentò il centro di questo legame fra oriente e occidente fu senz’altro quella di Federico II.
03/09/2006 14:33
 
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Cerimonia del tè: grazia ed armonia
Secondo le tradizioni medioevali Giappone la cerimonia del tè, si svolge in una piccola stanza, sufficiente solo ad ospitare circa sei persone. L'antica cerimonia è basata su principi molto semplici: un senso molto raffinato di naturale bellezza deve apparire in ogni dettaglio, dalle maniere degli ospiti, alle tazze, agli utensili per preparare il tè. Quest'ultimo, servito assieme a dolci tradizionali giapponesi, è una bevanda piuttosto densa e leggermente amara, preparata con foglie giovani ridotte in polvere. Nel Giappone moderno, sono soprattutto le donne a praticare tale cerimonia, che rappresenta una specie di training per affinare l'etichetta prima del matrimonio. Nel giappone feudale essa era in genere praticata da soli uomini, appartenenti sopratutto alla casta dei guerrieri, per calmare la mente prima di prendere una decisione importante o di affrontare una battaglia.
Il maneggiare oggetti belli e di valore nella cerimonia del te, aiuta a concentrarsi sulla punta delle dita. Le tazze sono fatte in molti stili, e vengono scelte in relazione alla stagione. L'etichetta richiede di maneggiarle e di apprezzarle stando molto bassi, quasi al livello del pavimento, per rispettare il loro grande valore.
La palettina per il te é di bambù intagliato, con una curvatura snodata nel centro; non possiede una parte concava come nei cucchiai, si dovrà quindi aver cura di non fare cadere la fine polvere del te nel servirsene. Anche la scopetta é di bambù, formata da molte strisce sottili piegate a mò di spazzola. Il te versato nella tazza é in piccola quantità, ma bisogna fare attenzione a non grattare la scopetta sul fondo: essa deve toccare appena la tazza, leggera come una piuma. Si deve aggiungere la giusta quantità di acqua, solo per tre o quattro sorsi, in modo da fare sciogliere tutto il te senza lasciare grumi; la salvietta deve essere piegata e spiegata con grazia e controllo. Anche la scatoletta del te, può essere un'opera d'arte e viene utilizzata per contenere il te solamente durante la cerimonia, normalmente il te viene conservato in un recipiente a chiusura ermetica.
In un stanza tipica per la cerimonia del te, il braciere è collocato nella parte rientrante del pavimento, la posizione del papiro é una questione di raffinato giudizio estetico. Quando si estende la cura a tutti gli oggetti che concorrono alla preparazione del te, il suo gusto migliora naturalmente; ma la maggior responsabilità di chi esegue la cerimonia è di far concentrare la mente di tutti i presenti sulla bellezza e la grazia del coordinamento di mente e corpo.
03/09/2006 14:33
 
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L'olio nel Medioevo e suoi riti
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Durante l'alto medioevo la distruzione delle campagne portò anche all'impoverimento degli oliveti. Fu dal XII sec., grazie soprattutto agli ordini monastici (olio rituale), che venne dato nuovo impulso all'estrazione del succo d'oliva. Gli uliveti aumentarano in tutta la Penisola, soprattutto in Toscana, dove anche la borghesia commerciale scoprì nella produzione e nel commercio dell'olio una fonte importante di guadagno. Il valore del liquido verde era elevato, veniva utilizzato per tenere accese le luci sugli altari, per cerimonie come la cresima o l'ordinazione dei cavalieri, e per l'estrema unzione.
Se nella cucina antico romana l'olio era uno dei condimenti principali, nella quotidianità della tavola medievale che posto aveva?
Non certo di primo piano: se ne faceva un uso molto parsimonioso, mentre erano indispensabili in cucina: il lardo, lo strutto, la sugna. Il maiale viveva il suo momento d'oro, soprattutto nell'Italia settentrionale il lardo era il "fondo di cucina" per eccellenza, e il “tempus de laride” (tempo del lardo) rappresentava una delle scansioni del calendario contadino pastorale.
Alcune eccezioni a questi usi si rintracciavano:
-al Sud e al Centro fra i ceti alti, dove l’olio veniva consumato come condimento dei cibi a crudo, o come grasso alternativo nei giorni di magro e di quaresima (dal XII sec. fu ammesso anche il burro per le focacce e i dolci, mai per cuocere);
-sulle navi che solcavano il Mediterraneo, dove l’olio assieme alle spezie serviva per condire i cibi dei marinai, come il pesce seccato, la carne salata e le gallette.
03/09/2006 14:34
 
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Pane del povero e del ricco
Ripetutamente è stato detto che il pane era nel medioevo, il simbolo dell’ alimentazione umana. Anche la cristianità lo ricorda con panem nostrum nel Sacramento della Comunione.
Con il pane d’avena si sfamavano i poveri, con il pane bianco si cibavano i ricchi, e si provvedeva addirittura alla cura delle malattie. Ghino di Tacco guarì dal mal di stomaco uno dei più ricchi prelati del mondo, l’Abate di Clignì, mandato in cura ai bagni di Siena, da Papa Bonifacio VIII. Ghino dette da mangiare due fette di pane arrostito ed un gran bicchiere di vernaccia di Corniglia. Si narra:
“ne prima vi tornò che il seguente dì, con altrettanto pane arrostito, e con altrettanta vernaccia, e così il tenne più giorni; tanto che egli si accorse, l’Abate, aver mangiate fave secche, le quali egli studiosamente e di nascosto portate v’aveva e lasciate. Per la qual cosa egli il domandò da parte di Ghino come star gli pareva dello stomaco.
Al quale l’Abate rispose: a me parrebbe star bene se io fossi fuori delle sue mani; e appresso questo, niun altro talento che di mangiare; si ben m’hanno le sue medicine guarito”.
Nel medioevo il pane era anche di crusca e veniva preparato facendo una pasta senza sale, senza lievito e senza droghe, che durante la notte deveva stare in un luogo caldo.
Il giorno dopo, con questa pasta si facevano i pani da cuocere in forno. Cotti che fossero, si immergevano nell’acqua bollente e si riponevano nel forno affinché si asciugassero. Questo pane si conservava a lungo, e se diventava duro era avvolto in un panno bagnato per essere rammollito. E’ questo il cibo che i pellegrini portavano nella bisaccia quando si recavano a Roma per il Giubileo
03/09/2006 14:37
 
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Medioevo: Cibo e Lussuria
L’amore per il cibo è citato in modo ricorrente nei testi medioevali, la gola addestra il piacere fisico ed è la prima occasione di cedimento ai sensi e alla lussuria. La religione prevedeva che ci si dovesse cibare per sopravvivenza e impedire che il piacere del cibo demolisse la fortezza spirituale dell’animo.
Il primo peccato di gola veniva attribuito ad Adamo per essersi nutrito del frutto dell’albero proibito, spinto da Eva e quindi dalla donna. Di conseguenza il monito principale era il seguente: “non intingere la mano nella scodella di una donna e non mangiare con lei”. La Chiesa non ammetteva che le donne potessero partecipare a qualsiasi genere di carica pubblica, il ruolo femminile era relegato alla casa, alla procreazione ed educazione dei figli. Le regole monastiche erano dure e rigorose nello stabilire i digiuni, in quanto se la gola è il primo ostacolo per la salvezza il digiuno è la virtù che redime, perché attraverso il digiuno ci si abitua all’umiltà fisica e al controllo dei sensi.
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