È l’alba del 21 giugno 1791: una pesante carrozza tirata da sei cavalli si ferma sul ciglio della strada bianca, poco oltre il villaggio di Meaux, tra Parigi e il confine col Belgio. Ne scendono un signore corpulento con tre dame e due bambini. L’aria fresca del mattino aguzza l’appetito e presto escono dalle borse abbondanti provviste di vitello freddo, che la comitiva consuma allegramente su fette di pane, innaffiate con champagne.
Questo è il quadro che vide protagonista la famiglia di Luigi XVI mentre scappava dalla Francia rivoluzionaria. I fedelissimi della monarchia avevano preparando i piani di fuga prevedendo abbondanti vettovaglie, ma non avevano fatto i conti con l’appetito del sovrano, che fermandosi e scendendo continuamente di carrozza, sarebbe poi stato riconosciuto e catturato.
Nonostante i deficit di bilancio, il servizio di tavola del re era costato alla corona cifre astronomiche, con 383 addetti e 103 aiutanti che dovevano soddisfare la sua violenta fame nervosa.
Mentre lo stato era invaso da truppe straniere, nell’aula dell’Assemblea che dichiarava decaduta la monarchia, il re seduto su un palco mangiava tranquillamente un pollo e una pesca.
Come il suo avo Luigi XIV, questo monarca non perse la fame neppure quando finì imprigionato nella torre del Tempio. In cella, dove aveva al suo servizio tre domestici e tredici ufficiali di bocca, divorava ogni giorno tre potages, quattro entrées, tre arrosti, quattro piatti di mezzo, pasticceria, marmellate e frutta, il tutto innaffiato con vini pregiati.
Alla vigilia di finire sotto la ghigliottina, mentre la moglie Maria Antonietta incanutì per lo spavento, Luigi si fece servire un lauto pasto.
Successivamente, fino all’esecuzione, il re manifestò un’orgogliosa serenità, forse motivata dallo stomaco pieno e dalla consapevolezza di lasciare alla Francia una grande eredità alimentare: la patata , della quale aveva promosso coltivazione e diffusione.