Vicino a Firenze, in una villa del Mugello, viveva un giovane di diciotto anni del tutto estraneo alla vita politica. Si chiamava Cosimo e come figlio del condottiero Giovanni dalle Bande Nere apparteneva al ramo cadetto dei Medici.
Divenuto nel 1537 signore di Firenze, con nomina ratificata da Carlo V, si mise ad organizzare lo stato toscano secondo un rigido centralismo politico ed economico. Concesse alle città della regione privilegi economici per rinvigorire l’attività industriale e commerciale.
Cosimo I diede grande sviluppo all’agricoltura, promosse i lavori di bonifica e il ripopolamento delle terre incolte, impiantando grandi superfici ad olivo e vite. Interessato alla botanica, coltivò nel suo giardino di Boboli piante rare come gelso, peri nani ed esotiche varietà di frutta. Nel 1569 ottenne dal pontefice il titolo di Granduca di Toscana, perché la Toscana fu opera sua. Il progetto gli costò molto, valutabile a tre milioni di scudi, a causa delle elargizioni di guerra e i prestiti a fondo perduto all’Imperatore che dovette sostenere. Per raccogliere tutto questo denaro, oltre a ricorrere a regimi fiscali sempre più gravosi, nel 1556 d’accordo con i mercanti, Cosimo inventò “la lotteria” che fin dal principio si dimostrò proficua: tremila scudi dopo le prime otto estrazioni.
Durante il suo dominio a Firenze la vita quotidiana dei cittadini era così articolata.
Per il borghese o il mercante ricevere ospiti era un obbligo. Ecco secondo un legislatore della materia le condizioni indispensabili per offrire un pranzo piacevole. Gli invitati non dovevano essere meno di tre né più di nove, perché se in numero superiore non riuscivano ad avere conversazioni comuni fruttuose. Gli uomini si accomodavano a tavola mescolati con le donne e la musica accompagnava il convivio. Questo il menù di lusso: si cominciava con il melone; la prima portata era il berlingozzo (dolce); seguivano capponi bolliti, salsicce con vitello, un buon stufato, polli arrosto, oppure tordi e fagiani, o qualche volta trote.
Invece, il fiorentino medio si accontentava con minore spesa del grande mercante: insalata per incominciare, poi qualche piccioncino, formaggio di capra e frutta. Gli piacevano molto anche i fegatelli e le polpettine di fegato, ma la base del suo nutrimento era la pasta. I ghiottoni non si accontentavano di mangiarla fritta, ma la volevano cucinare anche nell’aglio, e quando mangiavano ravioli, non bastava loro prenderli nel brodo, dopo averli fatti bollire in una pentola, ma li facevano saltare in un altro tegame per condirli con il formaggio.