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IL TORTELLINO: UN’INVENZIONE LEGGENDARIA

Ultimo Aggiornamento: 04/09/2006 13:23
04/09/2006 13:22
 
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L’ARTE NOBILE DEL TORTELLINO
Si fa presto a dire tortellini. E pure a mangiarli. Purchè ci sia qualcuno che li prepari. E lo sappia fare come si deve. Perché va detto, senza far torto a nessuno ( nemmeno un tortellino piccolo così ) che non tutti sono all’altezza. Chi prepara i tortellini? E con quali ingredienti? La risposta alla prima domanda viene dal passato. Un tempo chi faceva i tortellini li faceva a domicilio dei clienti. Almeno nelle grandi occasioni, come i matrimoni, in cui la cosa più importante, per chi invita e per chi viene invitato, è come si mangia. In Emilia, la patria del tortellino (sulla Regione non ci sono dubbi: sulla città è ancora in corso una plurisecolare vertenza tre Bologna e Modena), la fattrice, la generatrice di tortellini era lei: la “rezdora”.

Parola in dialetto emiliano che vuol dire “reggitrice”. Nelle campagne, la rezdora era la donna che mandava avanti la casa, cucina compresa. Quando alle capacità organizzative univa l’abilità culinaria, la rezdora veniva “prenotata” per banchetti e matrimoni. A cose fatte, stanca ma felice per il successo riportato, veniva ricondotta a casa sua, e portava ai familiari, oltre al compenso ricevuto, pure una bella quantità di “avanzi” di prima scelta. Tutto strameritato, e spesso frutto del lavoro di più giorni, non solo quello della festa. La rezdora veniva infatti prelevata con anticipo, perché potesse rendersi conto sul posto di ciò che le serviva. Per fare cosa? Tutto; ma sopratutto i tortellini.

Del tortellino la rezdora sa ogni cosa. Per esempio, sa che va lasciato cuocere nel suo brodo. Un atteggiamento tutt’altro che fatalista, visto che “suo” non si riferisce al tortellino ma alla rezdora. Al brodo che ha preparato lei.

Per il tortellino, il brodo di cappone è la morte sua (e quella del cappone, evidentemente). Il cappone è un gallettino nato tra aprile e maggio, e castrato ad agosto, quando pesa circa un chilo e mezzo. A Natale ha raggiunto il peso giusto, tra i quattro e i sei chili. Se il cappone non c’è, la gallina (possibilmente vecchia), il pollo o il galletto possono prendere il suo posto in modo onorevole.

Come si fa un buon brodo si sa. Oltre alla carne (la parte grassa e la parte magra devono essere entrambe rappresentate) occorrono le erbe aromatiche: costa di sedano, cipolla, carote e prezzemolo. Chi ne ha voglia ci può aggiungere un pomodoro o una patata. L’acqua è fondamentale (un litro per ogni 100 grammi di carne) e va aggiunta di tanto in tanto per compensare l’evaporazione (e non per allungare il brodo).

Elemento imprescindibile per la buona riuscita del brodo è il tempo. Perché sia degno di tal nome, e dei tortellini che vi andranno a morire, il brodo deve stare sul fuoco quattro ore, o giù di lì. La rezdora non ha bisogno di star lì altrettanto: deve però tenerlo d’occhio. L’occhio del padrone ingrassa il cavallo, quello della padrona (la reggitrice) sgrassa il brodo: di tanto intanto deve infatti eliminare gli “occhi” di grasso, insieme alla schiuma che si va formando in superficie.

Per potersi dichiarare sgrassato, il brodo non passa soltanto per la privazione degli occhi: dovrà anche passare per un colino fitto, o per un panno umido ben strizzato.

Perché un’ebollizione così lenta, e quindi lunga? Per consentire alla carne di cedere le proprie sostanze al brodo un po’ per volta.

Mentre il brodo s’insaporisce la rezdora non se ne sta con le mani in mano: è una che tiene le mani in pasta (è per questo che la chiamano). La pasta del tortellino.

Diciamolo subito: il tortellino non è altro che una pasta ripiena. Di cosa, lo vedremo poi. Siccome non esiste contenuto senza contenitore, occupiamoci prima di lui, o meglio di lei: la pasta.

Andando a ritroso, pasta vuol dire grano. E grano duro, che tiene l’ebollizione, e non si sfalda. Al mulino il grano viene ridotto in farina. Di farina ce n’è molte qualità, e la pasta sfoglia è figlia di almeno tre-quattro di esse, selezionate e miscelate fra loro, per assicurare il giusto mix di cottura e sapore.

Dopo la farina, uova, sale, ed olio. D’oliva, e di gomito: è il momento di impastare insieme tutti questi elementi. Dal vigoroso e sapiente impasto verrà fuori la pasta del tortellino.

La pasta dev’essere morbida. Quanto? Q.b. Quanto basta. Queste due consonanti, odiate da chi non sa cucinare, e inutili per chi lo sa fare, vogliono dire non troppo morbida (altrimenti si attacca alle dita), ma nemmeno troppo poco, se no si spezza sotto le mani. All’eccessiva mollezza si ovvia aggiungendo della farina, alla secchezza si pone rimedio con un po’ d’acqua (in che dosi? q.b.)

A pasta ben amalgamata e gommosa, fa la sua comparsa nelle mani della fattrice il matterello. E’ il momento della verità. Non è più possibile tirarla per le lunghe, bisogna tirare la sfoglia. Un ‘impresa delicatissima e non priva di rischi. Una volta tirata a regola d’arte, la “pastella” è di un bel giallo sole: e come il sole è grande e rotonda. Se ne sta lì splendente, distesa sulla tavola. Ancora non sa che sta per essere straziata e sminuzzata, allo scopo di rendere possibile il raggiungimento dello Scopo Ultimo: il tortellino.

Il coltello è già entrato in azione. Prima alcuni tagli paralleli riducono la pasta in strisce, poi dei tagli perpendicolari a questi danno vita a tanti quadratini di circa 2 cm. di lato. Da quest’operazione di chirurgia alimentare sono infine nati i tortellini. O quantomeno il loro involucro.

Stretta (sottile) è la sfoglia, larga è la via che conduce al tortellino: quasi un’autostrada. La favola del tortellino è piena di passaggi obbligati, si potrebbe dire che ne è ripiena.

Il ripieno è costituito da carne tritata, cruda e/o cotta: brasato di manzo, salsiccia, prosciutto, arrosto di maiale o di vitello, pollo cappone, mortadella, pancetta. Ma c’è spazio per tutto: bietole, cannella, patate e finanche pesce. Il ripieno è a sua volta pieno di formaggio.

Per fare un buon tortellino, (oltre al grano, di cui s’è detto) ci vogliono infatti sia la grana che il grana. Meglio se parmigiano.

La grana una volta occorreva per la rezdora, ed ora serve per acquistarlo dove si riesce a trovarlo buono.

Per un buon tortellino il parmigiano è essenziale. E’ lui il formaggio più adatto ad entrarvi. Guarda caso, si fa in Emilia-Romagna. E non deve assolutamente essere fresco, bensì stagionato: dai 12-18 mesi fini ai 4 anni.

Basta così: ormai tutto è pronto per il matrimonio fra la pasta e il ripieno. Sono fatti l’uno per l’altra, perciò sembra tutto facile. Ma provateci un po’ voi. Per scoprire quant’è complicato farli stare insieme occorre essercisi passati.

Amalgamare la pasta con il ripieno è infatti un’arte consumata; quasi un’alchimia. Per dar vita al Tortellino si deve prendere un pizzico (non di più, ma neppure di meno) di ripieno, sistemarlo sul quadratino di pasta, e poi chiudere la sfoglia sul ripieno. Con una sapiente pressione nei punti giusti.

Infine, la cottura. I tortellini vanno cotti con delicatezza, facendoli cadere lentamente, perché non si incollino. Il tempo di cottura è breve, ma il piacere che si prova nel gustare i tortellini è lungo. E si prolunga nel ricordo.
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